domenica 9 marzo 2025

Oltre il femminismo. A proposito di eguaglianza attraverso la diseguaglianza

 


Ieri un lettore, in privato, ha notato che l’idea, da noi criticata, dell’eguaglianza da perseguire attraverso la  diseguaglianza, sarebbe  addirittura consacrata nella Costituzione, all’articolo 3. Certamente. Ma leggiamo:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese
”.

In realtà, nel primo comma, si dichiara proprio il contrario. “Senza distinzioni di sesso”. Ecco il ddl sul femminicidio, approvato dal governo, introduce il concetto di “reato autonomo”. Distingue eccome. Per capirsi, il reato di omicidio parifica, quello di femminicidio differenzia.

Si dirà che è una distinzione introdotta a fin di bene ( però con pesanti conseguenze sull’entità della pene, che qui non esaminiamo (*)). Una sana distinzione che in senso lato rinvia alla rimozione di ostacoli che impediscono, eccetera, eccetera (secondo comma).

E sia. Però si torna al concetto di eguaglianza attraverso la diseguaglianza. Cioè il diritto è visto come un mezzo e non come un fine.

Il diritto come mezzo è una specie di “passe-partout” che consente di giustificare tutto. Facciamo un esempio.

Un certa ideologia, difesa dal governo, proclama che si deve procedere alla espulsione-persecuzione di una minoranza? Che succede? Siamo moderni, siamo civili, quindi si approva una legislazione ad hoc, che sulla base di determinate procedure, anche di ricorso, permette di rendere fattibile la cosa. Ecco un esempio del diritto-mezzo.

Per contro il diritto come fine, si oppone alla normativa di cui sopra, legale ma vessatoria, sulla base di quei principi di umanità e di libertà che vietano al diritto di tramutarsi in persecutorio.

Il diritto come fine rinvia al moderno diritto liberale, il diritto come mezzo è un diritto buono per tutte le stagioni ideologiche. Una specie di macchina schiacciasassi. O se si preferisce un diritto motorizzato, sempre pronto alla bisogna.

Oggi viviamo in un ‘epoca di grande prevalenza dell’ideologia femminista. Che, ovviamente, come ogni ideologia, nasce da un risentimento, più o meno giustificato, che inevitabilmente mescola insieme principi di giustizia e di vendetta. Ma non è questo che desideriamo affrontare.

Torniamo perciò alla questione generale. Il vero punto della questione è nel voler perseguire l’eguaglianza attraverso la diseguaglianza. Nell’abbassare gli uni per elevare gli altri. In questo modo si sposta solo l’asticella dei conflitti sociali, verso l’alto o verso il basso (dipende dalla primitiva posizione del contendenti). Nota tecnica welfarista dello stato Robin Hood, dalle cui labbra tutti finiscono per pendere.

Però, in questo  modo,  si strumentalizza il diritto-fine  sulla base di considerazioni  utilitaristiche  di definizione ideologica di ciò che sarebbe  il  bene per una società, rapportando  l’idea di bene a un massiccio uso del diritto-mezzo ancorato però a una specifica ideologia. Il classico circolo vizioso del diritto positivo, cioè del diritto vigente come unica fonte giuridica. Detto alla buona: è scritto così, perciò è così.
 

Il che non significa, per tornare alla questione particolare, che debba essere messa in discussione la parità uomo-donna. Conquista e vittoria delle rivoluzioni moderne. Esiste però una cosa che si chiama limite. Il limite è il termine al di là del quale non è possibile cogliere nulla che appartenga a una certa cosa (Aristotele, Metafisica, V, 17, 1022 a).

Cosa significa? Che una volta oltrepassato un certo limite, la giustizia si trasforma in vendetta, la libertà in oppressione, il diritto-fine in diritto mezzo, il femminismo il femmi-arcato e così via. Per inciso, il che non significa giustificare il patri-arcato, (altro stravincitore)

Pertanto, per tornare alla questione generale, sarebbe buona regola sociale accontentarsi di vincere, rifiutando lo stravincere. Soprattutto, in modo scorretto, avvalendosi di un diritto-mezzo, che una volta nelle mani dello stato, si tramuta in corpo contundente.

Insomma siamo sempre lì. A vincere è lo stato. Il che significa che lo stato non è la soluzione ma il problema. Perché tende a tracimare soprattutto quando si pone al servizio dell’ideologia. Che, come detto, non si accontenta di vincere.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.sistemapenale.it/it/notizie/introduzione-del-delitto-di-femminicidio-nel-codice-penale-ddl-approvato-dal-consiglio-dei-ministri .

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