Alla gente comune della libertà di stampa importa poco o nulla.
“Gente comune”, termine fumoso ? In realtà, pensiamo all’autista, al commesso, al piccolo commerciante, all’impiegato, alle donne delle pulizie, all'operaio potenzialmente razzista, ma anche all’insegnante, diciamo routinier (che sono tanti), al medico, al commercialista, all’avvocato, confinati mentalmente nel proprio lavoro, al pensionato ipocondriaco, alle tante “casalinghe di Voghera” (mai del tutto scomparse). Insomma a chiunque possa svolgere il proprio lavoro, o vivere la propria condizione, prescindendo da una buona informazione politica.
Per la gente comune partiti e giornali sono tutti uguali. Sicché - si pensa - nulla può cambiare, eccetera, eccetera. Pertanto della politica si può fare anche a meno. Perché si vive meglio.
Cosa vogliamo dire? Che si tratta di dinamite. Perciò non ci si faccia distrarre dalle minoranze più o meno rumorose. Il pericolo proviene dalle maggioranze silenziose. Quindi occhio all’ordinario sentire della gente comune.
Insistiamo sul punto perché, stando a quel che si legge, nel rapporto di Freedom Response (semplifichiamo) sulla libertà di stampa in Italia (*), si intuisce che siamo dinanzi a un tentativo di cambiare il paese, e in peggio. Come? Lavorando a un’egemonia culturale che si serve del controllo sulla Rai, del ruolo fiancheggiatore di Mediaset e di un cospicuo blocco di giornali di destra, molto aggressivo. Un’egemonia capace di prolungare nel tempo il potere della destra, seguendo una dinamica comunicativa a spirale basata sul rinforzo psicologico.
La destra, soprattutto quella di estrazione fascista, non ha mai scordato la lezione mussoliniana sul controllo dei mezzi di comunicazione sociale (non si dimentichi mai che Mussolini fu, nonostante tutto, un grande giornalista). Sono perciò inutili, e un tantinello ridicole, le evocazioni in stile nuova destra di Gramsci, padre del concetto di egemonia, perché basta riferirsi a Mussolini e alla sua fabbrica del consenso. Che, sembra tuttora funzionare, come ad esempio tra quel terzo abbondante di italiani, che ritiene che il duce fece (anche, o senza anche) cose buone (**).
Si dirà, ma se esiste gente che fa a meno dell’informazione politica, come è possibile portarla a destra? In realtà il rifiuto della politica, è già in sé un valore di destra. Uno dei cavalli di battaglia del populismo fascista è il disprezzo della politica. Al momento tocca alla sinistra ad essere sotto tiro, come principale esponente di quel politicantismo, disprezzato dalla destra e dalla gente comune.
Va poi ricordato che l’ uso aggressivo, da parte della destra dei social media va a completamento di questo preoccupante quadro, perché facilita la diffusione di contenuti populisti e la formazione di un militantismo molto pericoloso, non solo digitale. I social media polarizzano le posizioni. Di conseguenza, da parte loro, i social di destra amplificano ogni tipo di pericolo, a partire dall’immigrazione. Ma non quello di un nuovo fascismo, che invece è reale (***).
Solo a titolo di esempio (parliamo della radicalizzazione) si leggano i commenti deliranti sotto i post di Giorgia Meloni e sui video dai contenuti pro fascisti (****). Sarebbe interessante uno studio dei flussi di commentatori dall’uno agli altri e viceversa. Probabilmente ne verrebbero fuori delle belle.
Riassumendo: il consenso a Fratelli d’Italia e al governo di estrema destra assume un aspetto piramidale: la base formata da gente comune portata disprezzare la politica; il vertice, ovviamente da quadri dirigenti che odiano la libertà di stampa e la liberal-democrazia. E in mezzo un militantismo da social che mitizza i capi, evoca Mussolini, e sembra pronto a tutto.
In questo quadro monolitico, la vita per la libera stampa rischia di diventare sempre più dura. Di qui le giustificate preoccupazioni di Freedom Response e di ogni sincero liberal-democratico.
Un’ ultima cosa. Oggi sulla “Verità” Veneziani alimenta le voci di un complotto contro la destra. Non è il caso di meravigliarsi. Il vedere complotti ovunque rientra perfettamente nel quadro tenebroso della modernità politica liberale dipinto dalla destra. Quadro che risale almeno ai tempi della Rivoluzione francese. Frutto di un’antropologia del complotto in perfetta sintonia con il disprezzo dell’uomo medio per i politicanti, con l’aggressività dei militanti e con la retorica dell’intransigenza dei dirigenti.
Veneziani ripete a pappagallo le odiose stupidaggini del pensiero antimoderno e controrivoluzionario. In questo senso la destra, come nel gioco dell’oca, torna sempre alla casella inziale. Non è mai riuscita, nè riuscirà, a digerire la modernità.
Probabilmente, ma la cosa andrebbe approfondita, come la maggioranza delle persone che vive nel mondo moderno ma rimpiange, senza neppure capire perché, quello premoderno. Si pensi ad esempio all’ecologismo di base, così diffuso (semplificando: quello un tanto al chilo).
In ultima istanza, e concludiamo, l’elemento di saldatura culturale tra destra e gente comune è in una specie di arcaismo. Pensiamo alla nostalgia per un passato che viene mitizzato (non solo fascista quindi).
Una nostalgia di cui i più non avvertono le pericolose conseguenze politiche.
Carlo Gambescia
(**) Si veda al riguardo S. Lucaroni, Sempre lui. Perché Mussolini non muore mai, Libreria Pienogiorno 2022.
(***) Utili riflessioni qui: https://www.aduc.it/articolo/declino+globale+della+democrazia+legato+ai+social_35393.php .
(****) Ad esempio su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=tEtG-6g1U64 (Giorgia Meloni); https://www.youtube.com/watch?v=pofrS_RkTW0&t=120s (su Mussolini).
D'accordo sul fatto che questa destraccia identitaria non ha fatto né riuscirà mai a fare i conti con la modernità (come abbia fatto lei ad averci a che fare, resta per me un mistero anche e soprattutto dopo aver letto A destra per caso). Per quanto riguarda le dinamiche sociali dell'antipolitica, questa a mio parere ha inizio dalla seconda metà degli anni Ottanta - quando, recuperando una suggestione maraniniana, si cominciò a parlare di partitocrazia -, prosegue con il "giustizialismo" negli anni Novanta, cavalcato assieme all'anti-comunismo fuori tempo massimo da Forza Italia, grazie alla disponibilità degli apparati mediatici e giornalistici del Berlusconi, per finire negli anni Dieci con i grillismi e i populismi salviniani e meloniani. Si chiedeva Biagio De Giovanni nel suo A destra tutta: dove si è persa la sinistra? Saluti
RispondiEliminaInnanzitutto grazie per i suoi commenti (come quest'ultimo) sempre appropriati e di largo respiro. Concordo con la sua analisi. La sinistra si è persa nel populismo, prima nella sua incapacità storica di scegliere tra socialismo democratico e impossibili terze vie (da ultimo il dilemma Berlinguer, padre), dopo come dicevo nel populismo, di sinistra, ma populismo (che in fondo è sempre stato nel Dna, pensi ad esempio al socialismo massimalista, e allle tirate di Togliatti, che pure era una volpe, più che un leone). Quanto a me ho peccato di vanità. Credevo di influire, sia come contenuti, sia come modalità. E mal me ne incolse. Tutto qui.
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