sabato 10 agosto 2024

Crosetto, Aron e gli amici del giaguaro (russo)

 


Quando Crosetto esprime dubbi sulla controffensiva ucraina, si dovrebbe rileggere ( tutti, non solo il Ministro della Difesa),  Raymond Aron, grande politologo liberale, ma rileggerlo seriamente, non in chiave di pacifismo di “destra”, in alcuni casi dalle tinte addirittura filorusse.

A tale proposito, in particolare, pensiamo a un grande manuale di politica come Paix et guerre entre les nations, opera di quasi novecento pagine che risale al 1962 (*).

Certo, la prendiamo da lontano, ma può essere un’ occasione, per andare oltre Crosetto e i “zizzanieri” di “Fratelli d’Italia. Veniamo al punto: cosa avrebbe pensato Raymond Aron dell’aggressione della Russia all’Ucraina?

In primo luogo,  dal punto di vista del “peso” della storia, Aron  avrebbe rilevato che  Mosca non demorde dalla sua inclinazione storica verso i "mari caldi".  Si pensi a una tendenza secolare, capace di vivificare da sempre la politica estera del colosso euro-asiatico. Secondo Aron la storia si vendica sempre: a Oriente, la Cina è un osso duro, a Occidente, l’Europa una preda facile, o comunque più a portata di mano. Di qui la presente opzione per il ventre molle europeo

In secondo luogo, Aron si sarebbe certamente accorto di avere davanti un’altra Russia, andata in sposa a un antioccidentalismo che collega l’attuale dirigenza di Mosca a quella zarista, saltando così l’esperienza sovietica. Infatti, secondo Aron il mondo comunista apprezzava le capacità di modernizzazione, anche culturale del mondo occidentale. Aron credeva in un progressivo avvicinamento, tramite la società industriale, tra Occidente e Oriente. In particolare tra Russia Sovietica e Stati Uniti democratici. Però va anche detto che Aron, un vero “dottor sottile” solito interrogarsi su tutte le possibili opzioni politiche e storiche, avrebbe sicuramente preso atto di questo passo del gambero russo. Del resto si tratta sempre di uno studioso scomparso nel 1983, otto anni prima della caduta rovinosa dell’Unione Sovietica. E poi che dire? Nessuno è perfetto. Neppure Aron.

E sugli aspetti “congiunturali”? Sulla guerra in senso stretto? Aron, probabilmente avrebbe sostenuto e ammirato la resistenza Ucraina, come pure sostenuto l’appoggio dell’Occidente. Le guerre, sosteneva Aron, da buon lettore di Clausewitz, una volta iniziate devono avere un vincitore sul campo, come pure al tavolo della pace. Altrimenti non finiscono più. Le finte paci, producono altre guerre. E così via.

Sebbene non  sia  sinonimo di pace perpetua (nel senso della  guerra che pone fine a tutte le guerre, secondo la vulgata pacifista), una guerra, in relazione alle problematiche "congiunturali" (del momento),  o è un taglio netto o non è. Perciò Aron avrebbe apprezzato la controffensiva in atto che permette all’Ucraina di penetrare in territorio sovietico. Perché Kiev, intelligentemente, guarda a una merce di scambio territoriale assai utile – quando sarà – da usare come fiches al tavolo da gioco della pace.

In Paix et guerre entre les nations , scritto sotto i riflettori della Guerra fredda, Aron scrive cose molto interessanti sulla “guerra termonucleare”. Sfata il mito del pacifismo assoluto sulla distruzione del pianeta, che non sarebbe nell’interesse dei belligeranti e neppure tecnicamente possibile. Del resto a suo avviso la guerra atomica era (ed è, diremmo) un atto impolitico per eccellenza, perché incapace di indicare vinti o vincitori. Per contro Aron temeva gli sviluppi non previsti legati all’ uso delle armi atomiche tattiche. Ovviamente non per pacifismo, ma per ragioni militari. Come prevedere, alla stregua delle armi chimiche e biologiche, gli effetti sul campo di armi non convenzionali sulla guerra convenzionale?

Si pensi solo al coordinamento di operazioni militari a ridosso della zone “inquinate”. Oppure all’interazione tra popolazioni moralmente prostate dallo spettacolo anche di una sola  città distrutta, dell’una e dell’altra parte, e necessità di uno spirito bellico reattivo. Si dirà che sono problemi squisitamente militari, intrisi di cinismo organizzativo,  problemi che tuttavia secondo Aron devono far riflettere sull’uso di armi atomiche tattiche, molto più del veto assoluto continuamente rilanciato  dalla caramellosa retorica pacifista.

Aron è dalla parte della guerra convenzionale, senza per questo rifiutare il ruolo deterrente della guerra non convenzionale. Di qui la sua contrarietà a ogni forma di politica del disarmo, in primis atomico e unilaterale.

Tradotto in termini attuali, l’arsenale atomico allontana la guerra totale. Non è vero che la favorisca come invece ritengono tuttora i pacifisti del "meglio russi che morti": prolungamento retorico del "meglio rossi che morti" di un tempo. In ottant’anni l’arma atomica è stata usata solo una volta, nel lontano 1945, quando ancora non se ne conosceva la reale portata. E questi sono fatti.

Che esista un margine di rischio è perfettamente normale. Il rischio è insito in tutte le attività umane. E la guerra secondo Aron è un’attività umana. Pertanto la scelta del politico prudente (sul punto Aron scrive pagine di un’attualità sconcertante ) non è tra non rischio e rischio puro, ma tra rischio calcolato e rischio puro. Nell’uomo politico prudente, l’immaginazione del disastro non può essere un fatto statico ( che favorisce la paralisi politica) ma dinamico ( che invece porta alla decisione politica). La politica è decisione, quindi accettazione del rischio, non rifiuto del rischio in quanto tale. Il politico prudente è l’uomo del rischio calcolato.

Per capirsi, la controffensiva ucraina in corso, anche se a prima vista non sembra, guarda alla pace. E male fanno i politici come Crosetto a discutere pelosamente sull’uso o meno delle armi americane contro i russi. In questo modo si legano le mani a Kiev e si allontana la pace.

Zelensky e il suo stato maggiore si sono assunti la responsabilità del rischio calcolato. L’esercito ucraino può essere respinto dai russi, ma può anche riuscire a insediarsi in territorio russo. Permettendo così alla politica, di puntare, in un secondo momento, a una pace con onore.

In questo senso Kiev ha bisogno di tutto il nostro appoggio. E non di esercitazioni retoriche da amici del giaguaro. Russo.

Carlo Gambescia

 

(*) R. Aron, Pace e guerra tra le nazioni, Edizioni di Comunità, Milano 1970 ( ed. or. Callmann-Lévy, Parigi 1962)

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