Selvaggia Lucarelli è un fenomeno di costume. Per capirsi, nel senso della Fenomenologia di Mike Bongiorno: un approccio che fece, anche giustamente, la fortuna semiologica del giovane Umberto Eco.
Ci spieghiamo meglio. Il problema non è il giudice di “Ballando con le stelle”, la “persona” Lucarelli, simpatica o antipatica che sia, che litiga con i concorrenti. Sono affari suoi, pure ben pagati, ci mancherebbe altro.
Il punto, come dicevamo, è un altro: il fenomeno Lucarelli come editorialista di giornali seri, o che si presumono tali, come “Domani”.
Sotto questo aspetto la Lucarelli rappresenta la punta dell’iceberg di un fenomeno comunicativo molto più ampio e per questo preoccupante: quello dell’illiberalismo del linguaggio giornalistico-televisivo, soprattutto quando si fa politico. Di qui, il nostro interesse, a dire il vero più sociologico che semiologico.
Ad esempio il suo editoriale su “Domani” (*) dedicato al negazionismo, per così dire, idrico, o idraulico, come le famose antiche monarchie orientali studiate da Wittfogel, è da manuale per lo studio della sindrome di Weimar.
Selvaggia, come suo solito, si scaglia, con modi selvaggi (bisticcio di parole voluto), contro i concorrenti di “ A secco con le stelle”, in primis Montesano, ormai asceso, nell’immaginario della peggiore sinistra illiberale della storia d’Italia (Pd, M5s, LeU), a padre di tutti i complottismi. E quindi a nemico giurato della Lucarelli.
Qui veniamo alla fenomenologia di Selvaggia che rinvia alla fenomenologia del dibattito pubblico italiano e alla manualistica della sindrome di Weimar.
Perché Weimar? Weimar produsse Hitler. Nolte docet.
Detto altrimenti: siamo davanti a una pubblica opinione ferocemente divisa in due blocchi granitici. Negli anni Venti il contrasto era tra amici e nemici della Germania: da un lato i traditori di Versailles, socialdemocratici e riformisti, dall’altro i buoni tedeschi pronti a votare Hitler e i comunisti tedeschi filomoscoviti (primo esperimento storico assoluto di fasciocomunismo).
Si dirà, ma cosa c’entra la Lucarelli, nata a Civitavecchia, con la Repubblica di Weimar? C’entra. Perché la sventurata rispose. Nel senso che è una specie di testimonial. Di che cosa? Del fatto che nell’Italia degli anni Duemila non esiste più, proprio come nei tormentati anni Venti del Novecento tedesco, alcun dibattito pubblico aperto a tutte le opinioni. Attenzione, pensiamo a un dibattito animato dalla sana capacità di scorgere nell’interlocutore, come insegna la tradizione liberale, un avversario, non un nemico da irridere e abbattere.
L’editoriale della Lucarelli ricorda per l’intensità della violenza verbale gli editoriali delle principali testate della Repubblica di Weimar. Per raffronti, basta leggersi almeno le prime centro pagine de La Guerra civile europea di Nolte, ricche di citazioni. Insomma, editoriali rivolti più che a capire a demolire un avversario metamorfizzato in nemico assoluto. Parole come pietre.
Come anticipato, l’imbarbarimento del linguaggio giornalistico accompagnò se non addirittura facilitò, prima una specie di guerra civile nelle strade, poi la presa del potere del grande restauratore: Adolf Hitler.
Insomma, trattare i complottisti come idioti e delinquenti, sparando nel mucchio, anche quando certe tesi sono espresse da studiosi qualificati – e sul punto la Lucarelli non bada a spese – significa distruggere ogni possibilità di dibattito pubblico.
Vuol dire tornare alla Germania di Weimar. Se si preferisce, al mefitico “clima” Weimar.
Che poi la Lucarelli, come alcuni sostengono, sia di sinistra, non significa nulla. Il punto è che non è liberale. Esattamente come i negazionisti e i complottisti di Forza Nuova, della Lega e di Fratelli d’Italia. E si vede.
Carlo Gambescia
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