Il nostro “augurio” è che il turismo, che ormai è l’unica vera fonte di guadagno per Venezia, subisca una specie di crollo verticale. “Morte a Venezia”, per parafrasare il titolo di un celebre libro.
Del resto se si conosce un poco la storia della Serenissima e delle sue classi dirigenti, la decisione del sindaco di destra Luigi Brugnaro, fotocopia di Berlusconi, però antipatico, di far pagare un biglietto ai non veneti per entrare nella città lagunare, rinvia inevitabilmente a un antichissimo egoismo politico e sociale.
Lo stesso egoismo politico e sociale, per fare un esempio, che provocò la deviazione della Quarta Crociata per saccheggiare Bisanzio, a saldo delle spese di viaggio crociate verso la Terrasanta. E i crociati accettarono, quasi perdendosi per strada…
Non dimentichiamo neppure le cannonate sui capitelli del Partenone, anno di grazia 1687. In linea con gli addetti stampa di Putin, alcuni storici, passandosi il testimone nei secoli, scrivono tuttora che dentro il Partenone, gli ottomani nascondevano armi…
Ma torniamo al biglietto d’ingresso, che costerà dai 3 ai 10 euro, con multe salate (fino a 300 euro) per gli evasori. Lasciamo da parte la storia, e pure l’ecologia, che, visto che è di moda, viene portata a difesa della misura (“Venezia, non può sostenere un alto numero di turisti”), quali saranno le conseguenze economiche, da gennaio 2023, quando servirà il biglietto per entrare in città?
Difficile dire. A dire il vero c’è però chi sostiene che la misura non influirà o se influirà, sarà senza alcun grave danno per il turismo. E probabilmente le cose andranno così.
Venezia, oggi infiocchettato gadget decadente e romantico, piace così tanto che difficilmente sarà disertata per ragioni economiche. I tour operator taglieranno altri costi per riassorbire quello del biglietto, con buona pace del paradigma ecologista evocato dal sindaco come nobile ragione, eccetera, eccetera.
Ciò che invece infastidisce è la questione culturale. Anzi di antropologia culturale delle città.
Un passo indietro. Che cos’è una città? Un grande storico, Arnold Toynbee, dedicò alla questione un libro, in cui si prova come le città, alla stregua dell’organismo umano, subiscono processi di crescita e invecchiamento politico, sociale, economico.
L’Atene di Pericle è altra cosa dall’Atene di oggi, come la Roma di Gualtieri non è la Roma di Augusto. Tuttavia Atene e Roma, sono oggi musei a cielo aperto, a testimonianza di antiche grandezze. Però, ecco il punto, a Roma e Atene (tasse alberghiere di soggiorno a parte) nessuno si sogna di far pagare ai forestieri il biglietto d’ingresso alla città in quanto tale. Insomma, roba da film di Troisi e Benigni. I lettori, ricorderanno la storiella, divertentissima, dei due viaggiatori, che si trovavano ad attraversare il confine, ai quali un ottuso doganiere quattrocentesco continuava a chiedere ad ogni minimo spostamento, al di là e al di qua del confine: “Chi siete? Da dove venite? Cosa portate? Dove andate? Un Fiorino!“.
Insomma, Venezia, che ha un suo fascino romantico, ma che non è comparabile, storicamente parlando, a Roma e Atene, pretende invece la sua libbra di carne: “Chi siete? Da dove venite? Cosa portate? Dove andate? Dieci euro!”…
Riassumendo, una città morta o quasi, trasformata in museo, che taglieggia il turista, per dire le cose brutalmente. Evocando la Terrasanta ecologica al modesto costo di dieci euro come piccola deviazione, riveduta e aggiornata, per Bisanzio…
In che cosa un romano, un ateniese e un veneziano sono allora, “culturalmente” differenti?
La risposta ai lettori.
Carlo Gambescia
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