venerdì 8 luglio 2022

Boris Johnson lascia, avanti il prossimo…

 


Il problema non muta: è meglio essere governati dagli uomini o dalle leggi? A questo pensavamo a proposito dell’uscita di scena di Boris Johnson, il BJ dei giornali.

Leader conservatore mediocre. I dati economici e sociali britannici sono lì a dimostrarlo. Incapace di difendere e conservare le proprie idee liberali, o meglio la parvenza di idee liberali: i balletti stop and go sull’epidemia, pardon pandemia, sono lì a provarlo. Da ultimo, il sostegno a Zelensky, più simbolico che effettivo, ha posto la pietra tombale su quella figura di difensore dell’Occidente, che Johnson ha tentato vanamente di costruirsi.

Il suo successore non sarà migliore di lui. Il partito conservatore britannico è in caduta libera. Storicamente ha avuto tre grandi leader: Disraeli, Churchill e Margaret Thatcher. Punto. Il resto è noia per dirla, con una grande filosofo romano del Novecento.

Dicevamo delle preferenze umane sul governo degli uomini o delle leggi.

Il governo delle leggi rinvia allo stato di diritto, al governo impersonale di burocrazie razionali: non si dimentichi purtroppo, che lo stato di diritto è il diritto dello stato. Sicché ha necessità, più si estendono i suoi poteri, di turbe di servitori dietro gli sportelli.

Il governo degli uomini racchiude un importante elemento cesaristico, quindi carismatico. Si guarda all’uomo della provvidenza che può salvare con una specie di bacchetta magica…

Negli ultimi trent’anni nelle democrazia occidentali si è avuto un susseguirsi di uomini, piccoli uomini, “Piccoli Cesari”, della provvidenza. Solo per l’Italia citiamo Berlusconi, Monti, Renzi, ora Draghi. Ma che dire di figure come Macron, Angela Merkel, ai quali mass media ed elettori hanno guardato in attesa di miracoli che non sono mai avvenuti.

Ma sono necessari questi miracoli? Si vive, in particolare, negli ultimi due-tre anni, di esasperazioni: ogni minimo turbamento sociale, economico, politico, viene vissuto come epocale. Insomma, in alto un “Piccolo Cesare", che cambia idea continuamente, in basso una plebe, che poi non è così plebe (almeno economicamente), che pretende sempre più.

Il “Piccolo Cesare” vizia il popolo, e il popolo si lascia viziare. Sotto questo aspetto, l’Italia di Conte e Draghi, con i suoi bonus e superbonus è una specie di capofila di un post moderno, “pane e giuochi”.

In buona sostanza, cosa si rimprovera a BJ? Di non essere fermo nelle decisioni. Di cambiare continuamente idea. Si fa finta di non capire che il cesarismo, piccolo o grande che sia, proprio perché tale, è disorientante: il Cesare dipende dal popolo che lo elegge, e se vuole durare deve sempre cavalcare l’onda del consenso.

In questo modo il cesarismo finisce sempre per divorare se stesso. Da Cesare, quello autentico, fino Napoleone I e III, i veri reinventori. Per arrivare ai leader di oggi che usano la democrazia rappresentativa, ma a colpi di decreti: come strumento di un potere, presuntivamente maggioritario, che non vuole cedere. Fingendo di ignorare il fatto che chi di maggioritario e decreti ferisce di maggioritario e decreti perisce. Detto altrimenti: Cesare chiama Cesare, forza chiama forza.

Si diceva del governo delle leggi: idea bellissima in teoria, che tuttavia in pratica, considerata l’estensione sociale delle democrazie welfariste, si è trasformata nel governo delle burocrazia razionali. Che poi in realtà non è mai tale, perché il burocrate è avverso a qualsiasi decisione rivolta a limitare i suoi poteri. Perciò, di fatto, nessuna razionalità, che non sia quella funzionale alle burocrazie pubbliche. Diciamo allora burocrazie pseudorazionali.

Ricapitolando, Boris Johnson è caduto, ma i due corni del dilemma politico contemporaneo restano: da un lato il cesarismo, dall’altro una potente burocrazia. In mezzo, aspetto non secondario, la palude: una plebe, che però non è tale economicamente. Una plebe sempre scontenta che gravita tra l’euforia e la depressione.

Cesare, burocrazia, popolo. Tre fattori interni che favoriscono lo status quo, cioè la conservazione di un sistema welfarista che però potrebbe cedere solo sotto i colpi di fattori esterni, come una guerra.

Il che spiega il pacifismo, altrimenti inspiegabile, di un Occidente, cesaristico, burocratico e populista che teme di essere disarcionato sul piano interno, non tanto da una sconfitta, quanto dai cambiamenti sociali ed economici inevitabilmente indotti da una guerra. Di qui, per essere chiari, la gestione a dir poco soft dell’invasione russa dell’Ucraina.

Perciò, stando così le cose, l’addio di Boris Johnson, nulla toglie, nulla aggiunge. Avanti il prossimo…

Carlo Gambescia

 

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