L’uccisione di Abe Shinzo (cognome e nome) ha un triste valore simbolico. Con lui muore un politico, membro significativo di una classe politica, post Seconda guerra mondiale, schierata con l’Occidente, e in particolare con gli Stati Uniti, ma non per questo priva di amor patrio, per dirla “all’ antica”.
Comunque sia, a prescindere dalle cause, per ora oscure, siamo davanti a un omicidio che si può definire politico, proprio perché riguarda un uomo politico e non un semplice cittadino.
Di più: si può parlare di uno statista. Abe Shinzo ha dominato la scena giapponese per alcuni decenni, promuovendo rigorose politiche economiche e finanziarie e soprattutto di rilancio delle grandi questioni della sicurezza militare. Politiche implementate in perfetto allineamento con le strategie americane e occidentali.
Di conseguenza, dal punto di vista, dell’estrema destra e dell’estrema sinistra nipponiche, l’ex militare, un uomo di quarant’anni, che ha ucciso Abe Shinzo, ha tolto di mezzo un nemico: un politico capace, attento alla rivalutazione del ruolo politico-internazionale del Giappone, anche sul piano militare, ma – ecco il punto inviso agli estremisti – restando fermamente ancorato all’Occidente e allo spirito di nazione. Detto in altro modo: un patriota non un nazionalista o sovranista. Sarà difficilissimo se non impossibile sostituirlo.
Per intendersi il patriota stima la cultura nazionale e difende i legittimi interessi dei cittadini, ma riconduce l’una e gli altri nell’alveo delle istituzioni liberali e democratiche. L’opzione militare non è mai una priorità, sebbene non la si disconosca.
Il nazionalismo invece enfatizza la purezza culturale ed etnica, giungendo a disprezzare coloro che non fanno parte della Nazione, con la maiuscola. Di qui, il rilievo attribuito alla guerra come continuazione della politica nazionalista con altri mezzi.
Singolare la prima reazione mediatica in Europa e negli Stati Uniti. Solo per fare un esempio, questa mattina alcuni giornalisti hanno scoperto con raccapriccio l’esistenza della pena di morte in Giappone. Oppure si è ricordato, con malcelato disappunto, che Abe Shinzo, da buon conservatore, non è mai stato favorevole all’insegnamento scolastico della “gender culture”. Infine, per quel vecchio riflesso pavloviano-pacifista, tipico di certa sinistra populista, un giornale italiano, “Il Fatto Quotidiano”, ha quasi occultato in prima pagina la notizia, sottolineando però, una riga sotto l’annuncio dell’uccisione, il riarmo giapponese… (*)
Ovviamente le reazioni politiche in tutto il mondo, esclusa in particolare la Cina ( che scorgeva un nemico in Abe Shinzo), sono state di cordoglio, un cordoglio più che altro formale. Manca infatti al momento, come provano i ridicoli accenni mediatici alla pena di morte, la reale percezione circa la gravità della sciagura politica che si è abbattuta sul Giappone. Il che, per inciso, la dice lunga sul disorientamento geopolitico dell’Occidente euro-americano. Che, a fronte di un gravissimo omicidio politico, si preoccupa per la possibile condanna alla pena di morte dell’assassino… Quos vult Iupiter perdere, dementat prius. È proprio così, grande saggezza degli antichi: A coloro che vuole rovinare, Giove toglie prima la ragione.
A cominciare, come in Italia, dai principali siti geopolitici (Ispi e Limes ad esempio), che, invece di analizzare obiettivamente, insistono, troppo, sposando le categorie pacifiste, perfettamente inutili nell’analisi delle questioni internazionali, sull’equazione riarmo-destra, come tratto distintivo, e sgradevole, della politica di Abe Shinzo.
Si dimentica però, che il Giappone ha conosciuto, soprattutto dopo la sconfitta del 1945, due destre: una diciamo tradizionalista, fuori dai giochi politici, nostalgica della Grande Asia, e una filo-occidentale, cosciente dei gravi errori del fascismo giapponese. A quest’ultima apparteneva Abe Shinzo. Un amico dell’Occidente, che ora non c’è più.
Carlo Gambescia
(*) Qui, taglio basso: https://www.giornalone.it/prima-pagina-il-fatto-quotidiano/
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