mercoledì 6 luglio 2022

Ucraina, Israele, Stati Uniti e la guerra del 1973

 


L’Ucraina è scomparsa dalle prime pagine. Stati Uniti ed Europa parlano di una gigantesca ricostruzione. Si promettono ingenti fondi, ma intanto i russi consolidano le posizioni nelle regioni aggredite.

Detto altrimenti, Mosca conserva l’iniziativa e guarda con qualcosa di più del cauto ottimismo al futuro di una guerra proditoriamente scatenata contro l’Ucraina.

Ai limiti del ridicolo è la tesi, sposata dai fasciocomunisti, sulla presunta strategia statunitense di frammentare la Russia, per indebolirla e addirittura farne boccone dopo boccone una colonia dell’Occidente.

Gli Stati Uniti, non ci stancheremo mai di ripeterlo, non hanno alcun orientamento imperiale né coloniale.

Una cosa sono i fantasiosi giochi di ruolo, di questo o quel think tank, un’altra la politica di tutti i giorni che deve rispondere a un elettore isolazionista fino alla radice dei capelli. Quanto alla cultura liberal, che si dice predominante, si può dire che si basi su nobilissimi quanto innocui principi psico-pedagogico di acculturazione pacifica del nemico: si crede nell’inevitabile conversione del nemico ( dal russo all’afghano, eccetera) ai valori di felicità individuale racchiusi, semplificando, nella costituzione americana. E i risultati negativi di un approccio del genere – al netto di alcune fiammate in Iraq, Serbia, Afghanistan, Daesh – sono sotto gli occhi di tutti.

La prova che gli Stati Uniti, al di là dei giochi di ruolo, non abbiano alcuna voglia di intervenire in Ucraina, né di “spezzettare” la Russia, come pretendono per fare propaganda antiamericana i fasciocomunisti, è rinvenibile, per differenza, in un precedente importante: nell’attacco senza preavviso nel giorno dell’Espiazione, Yom Kippur (6 ottobre), 1973, quando egiziani e siriani sfondarono le linee israeliane. Ma lasciamo la parola allo storico Paul Johnson:

“L’elemento di sorpresa tecnologica fu l’efficienza dei missili anticarro e antiaerei che permise di infliggere perdite preoccupanti agli aerei e ai mezzi corazzati israeliani. Per la prima volta in venticinque anni Israele si trovò di fronte alla possibilità di una sconfitta gravissima […]. Ma il 9 ottobre l’avanzata siriana era stata arginata: il giorno successivo, in riposta agli appelli disperati di Israele, il presidente americano, Richard Nixon, diede inizio a un ponte aereo di armi sofisticate. Due giorni dopo le forze israeliane sferrarono un audace contrattacco sul fronte egiziano, attraversando il canale fino alla riva occidentale e minacciando di tagliare fuori le forze egiziane che avanzavano nel Sinai. Israele stava rapidamente conseguendo una vittoria decisiva, quanto quella del 1967 quando il 24 ottobre, fu imposto il cessate il fuoco” (*).

Tre giorni per rifornire Israele di armi. In quel momento alla Casa Bianca risiedeva Nixon. Probabilmente, grazie anche al valore di un prestigioso collaboratore come Kissinger, egli comprese subito l’importanza della posta in gioco: la sopravvivenza d’Israele e di rimbalzo dell’Occidente. Quindi si trattò anche allora di di una specie di riflesso difensivo, nessun disegno imperiale. Però in tre giorni lo stato d'Israele venne messo  in sicurezza sotto il profilo degli armamenti. Seguì – cosa fondamentale per andare a trattare – un’importante controffensiva, che costrinse egiziani, siriani, e dietro di loro, russi a fare marcia indietro.

Ucraina 2022: nessun disegno imperiale, ma neppure una sana reazione difensiva, per intuizione della posta in gioco, altrettanto importante come nel 1973: ieri si trattava di sbarrare la strada all’espansionismo sovietico, oggi a quello russo. Eppure...

Certo, oggi i russi combattono in prima persona, e i legami ucraino-americani non possono essere paragonati a quelli tra Stati Uniti e Israele. Tuttavia la sostanza del conflitto, nel senso di una spiccata aggressività russa, non è cambiata. Perché, sia chiaro, se proprio di disegno imperiale, si deve parlare, allora va chiamata in causa la Russia, che, nonostante l’apparente cambio di regime, non nasconde minimamente il suo imperialismo di stampo zarista.

Tra l’altro anche nel 1973 esistevano le armi atomiche e il conseguente pericolo di un conflitto generale. E gli Stati Uniti accettarono di rischiare. Oggi invece si sono rifiutati di armare adeguatamente l’Ucraina in tempi brevi. Peggio, si cincischia.

Bisogna prendere atto di questo fatto. Di conseguenza, a differenza del 1973, l’iniziativa, in una guerra tutto sommato di tipo tradizionale, è rimasta saldamente nelle mani dei russi. Il che significa, che sarà pace solo quando Mosca deciderà di fermarsi. Detto altrimenti: per ora, non è in vista un “audace contrattacco” ucraino, per dirla con Paul Johnson.

Per ironia della storia, lo stesso stato d’Israele, non lasciato solo dagli Stati Uniti nel 1973, pochi giorni dopo l’invasione russa dell’Ucraina, sembra abbia consigliato a Zelensky di cedere…

Carlo Gambescia

(*) Paul Johnson, Storia degli Ebrei, Longanesi & C., Milano 1991, p. 598.

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