Come non scoppiare a ridere dinanzi a un’asserzione del genere:
«Chi non ha il green pass rafforzato non potrà prendere il caffè al bancone nei bar, se il proprio Comune o la propria Regione passano in zona arancione. Né potrà sedersi ad un tavolo all’aperto di un ristorante. Ma potrà andare nei giorni feriali a fare shopping nei centri commerciali.» (*).
Eppure, nessuno ride. Di conseguenza, c’è poco da ridere anche sul fatto che non si rida o sorrida più.
Per quale ragione ci si deve preoccupare? Perché la mancanza di senso del ridicolo da parte delle cosiddette autorità, e di riflesso nei cittadini, è il primo segnale che politicamente parlando tutto è possibile. Quindi anche il peggio. Perché è venuto meno quel freno collettivo nei riguardi dell’assurdo, cioè di qualcosa che è contrario alla ragione, all’evidenza, al buon senso; che è in sé stesso una contraddizione.
Quel lato assurdo delle cose che scatena appunto il sorriso o riso nelle persone: in coloro che ordinano come in coloro che eseguono. Che poi in privato i cittadini sorridano e ridano – insomma, per capirsi circolino, come ai tempi del fascismo, le barzellette sul duce – non cambia nulla, dal momento che gli stessi cittadini, magari mugugnando, obbediscono.
Ovviamente, con la riserva mentale, che non appena i rappresentanti delle autorità (poliziotti, finanzieri, vigili, eccetera) voltino le spalle, di poter fare quel che si vuole.
Perché delle due l’una: o il virus era ed è grave, come dicono le autorità, allora dal marzo del 2020, la contagiosità, avrebbe dovuto uccidere milioni di persone, e non centomila, chiuse o meno in casa. Oppure non era e non è grave, allora tutte le decisioni prese sono state, e continuano ad essere, inutili, assurde, quindi ridicole, come i controlli capillari sugli avventori…
Il fatto che i cittadini, come accade, non si espongono, non sorridono o ridono in pubblico delle cervellotiche misure varate, può significare due cose. 1) che la maggior parte della gente crede nella pericolosità del virus e quindi ha paura. Oppure 2) che fa finta di credervi per puro e semplice conformismo, salvo, poi in privato, come dicevamo, scambiare battute e barzellette. Come quei domestici, che parlano male alle spalle del padrone di cui però hanno paura.
Nei due casi, il risultato è identico: non si ride o sorride più.
Perché, altro fatto fondamentale, non si può ridere della propria paura. La paura è una cosa seria che uccide il senso del ridicolo. Ovviamente, le cause della paura, possono essere vere o false. Cause però, che una volta che i meccanismi di controllo sociale sono stati avviati, o implementati, per dirla in termini sociologici, passano in secondo piano. A quel punto però entra in gioco l’infernale macchina del conformismo sociale. E il cerchio si chiude,
Per quale ragione? Perché ai fini (“ma è veramente in corso un’epidemia?”) si sostituiscono i mezzi (“come contrastarla”). Sicché tutti si concentrano su mezzi e nessuno più ride o sorride dei lati ridicoli del potere burocratico rispetto ai fini.
Perché, dei fini non si parla più, e quindi tutto ciò che il potere fa, in termini mezzi, per contrastare “fini dati una volta per sempre”, di cui, ripetiamo, non si parla più, è giustificato, anche quando cade nel ridicolo.
Magari, se ne può ridere. Però in privato. Si tratta perciò di altra cosa: perché,il riso in “privato”, non frena il potere politico “pubblico”
Concludendo, la paura, come dicevamo, uccide il senso del ridicolo e purtroppo la libertà.
Carlo Gambescia
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