Abbiamo visto in ritardo il video della giornalista sportiva molestata in diretta da un tifoso nel dopopartita. Un caso subito finito sulle reti televisive nazionali, molto commentato sui social, ma in nome di che cosa?
E qui viene il punto sociologico, anzi metapolitico, che vorremmo affrontare.
Il Ventesimo secolo ha visto il progressivo inserimento della donna nel mondo del lavoro, della politica, della cultura, soprattutto nella sua seconda metà, in nome della parità sul piano non solo formale ma sostanziale.
In che modo? Attraverso quella motorizzazione riparatrice, ma in realtà vendicativa, del diritto, tipica dei sistemi di welfare. Che ha introdotto il meccanismo delle quote rosa, per riparare, si dice, ad antichi torti.
Un sistema – qui la sua natura vendicativa – che è la negazione de facto della parità, diciamo di partenza, sostituita da quella di arrivo. Perché, si tratta di un sistema giuridico che privilegia la quantità sulla qualità. Chi ci dice infatti che in quel cinquanta per cento obbligatorio, di uomini e donne, pur di fare numero non si finisca per privilegiare, un certa quantità di mediocri/e?
Il Ventunesimo secolo si sta invece profilando come il secolo della conquista del potere da parte delle donne.
Il che implica un fattore ideologico. Quale? La costruzione, o meglio reinvenzione di una tradizione, capace di rileggere la storia dalla parte delle donne. Come un tempo si leggeva dalla parte degli uomini a dire il vero.
Di qui la riscoperta delle malefatte degli uomini e il conseguente influsso della tradizione, per così dire femminista, sulla visione e sulla pratica della vita sociale contemporanea: dal diritto all’economia, dalla cultura alla religione e filosofia. Si potrebbe parlare di revisionismo storico-ideologico.
Solo per fare un esempio, all’interno della chiesa cattolica, storici e teologi tendono a rileggere la vicenda del cristianesimo in chiave femminista, enfatizzando il ruolo di Maria in generale e delle suore in particolare. Il che a dire il vero per non pochi casi è più che giusto.
In ambito giuridico, per fare un altro esempio, si è introdotto il reato di “femminicidio”, che però in pratica dissolve la parità formale dinanzi alla legge dell’uomo e della donna, attribuendo maggiore gravità ai reati commessi contro le donne. Grazie a che cosa? All’uso, come dicevamo, di un diritto motorizzato che si pone al servizio, come un tempo, i giudici socialisti, di una nuova lotta non di classe, ma dei sessi, pardon generi.
Non tutti si rendono conto – qui la lezione della metapolitica – che è in atto un processo di egemonia politica (di conquista del potere), che può essere spiegato rinviando a una regolarità sociologica ricorrente nella storia, che vede, per semplificare, un movimento sociale tradursi in istituzione politica.
Il punto di arrivo di questo processo metapolitico potrebbe essere una società di tipo matriarcale, che relega l’uomo in posizioni di sottordine, come nel passato accadeva alle donne.
Il che spiega il clamore di qualche giorno fa intorno al caso della giornalista molestata. Il problema però non è tanto o non solo la gravità o meno delle molestie ricevute, quanto il fatto che “quel” clamore politico, mediatico e sociale rinvia a un quadro di egemonizzazione del discorso pubblico che tende a rappresentare tutti gli uomini come potenziali stupratori, bruti privi di intelligenza. Proprio come un tempo, le donne venivano rappresentate, come esseri privi di anima e intellettualmente inferiori agli uomini.
I processi storici di egemonizzazione implicano sempre l’uso del radicalismo politico e quindi di un’ideologia funzionale alla svalutazione morale del nemico politico. Nel caso del femminismo, l’uomo.
Naturalmente, molti uomini e donne vedono in questo processo un atto di giusta riparazione storica. Il che può essere moralmente giusto, a patto che si mettano in conto i rischi metapolitici racchiusi nei processi di egemonizzazione e conseguente aggressiva svalutazione del nemico politico. Processi che, indipendentemente dalle buone o cattive intenzioni degli attori sociali, possono provocare inaspettati e perfino perversi effetti di ricaduta sociale.
Tra i quali, nel nostro caso, è possibile prevederne almeno uno, e gravissimo: quello della possibile transizione da una società maschilista a una società femminista. In cui al potere illimitato dell’uomo rischia di sostituirsi quello altrettanto illimitato della donna.
Non è però detto che ciò accada, almeno per due ragioni: 1) gli uomini potrebbero ribellarsi e passare alla contro-offensiva; 2) uomini e donne di buon senso potrebbero fare un passo indietro e rinunciare all’idea di un diritto motorizzato e vendicativo, per trovare un punto di mediazione non più con il nemico ma con l’avversario.
Fermo restando che alcuni fenomeni sociali (una guerra) e naturali (una calamità) potrebbero ritardare o accelerare il processo di egemonizzazione in atto.
Comunque sia, il rischio del potere illimitato che cambia solo di padrone/a, esiste.
Purtroppo, piaccia o meno, ma i processi di egemonizzazione sono di tipo esclusivo/inclusivo. E quanto più la tradizione reinventata trasforma l’avversario in nemico tanto più la radicalizzazione si tramuta in lotta senza quartiere, decretando inevitabilmente vincitori e perdenti su quello che può esser rappresentato un vero e proprio campo di battaglia.
La metapolitica, concludendo, può spiegare chiaramente questi processi. Ma, come si dice della storia, ha pochi allievi. Per ora.
Carlo Gambescia
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