mercoledì 22 dicembre 2021

“Gabbia d’acciaio” e strategie antiCovid

 


Nel marzo dello scorso anno, sull’onda di una risposta emotiva alla situazione, si parlò di differenze stilistiche tra le strategie di approccio statunitense ed europea all’ epidemia, pardon pandemia: economicista-utilitarista la prima, solidarista-universalista la seconda. Cattiva la prima, buona la seconda, se ricordiamo bene.

In realtà, a prescindere dai giudizi di valore, il confronto da formulare, eventualmente, era ed è tra etica della responsabilità individuale (Stati Uniti) ed etica dell’individualismo assistito (Europa).

Tuttavia, nei fatti, prevalse sulle due sponde dell’Oceano Atlantico un interventismo statale, di sostanza. Come del resto non può non accadere in tutte le situazioni di emergenza di origine immaginaria o reale. E fin quando durerà l’emergenza, le cose non muteranno, in Europa come negli Stati Uniti. Sorokin docet.

Su quest’ultimo aspetto c’è chi ora sostiene che l’epidemia, pardon la pandemia, “non passa”, perché politici e scienziati avrebbero sbagliato tutto. Di qui, pare di capire, la richiesta di una migliore organizzazione. Perciò di una overdose di burocrazia e individualismo assistito. Insomma, emergenza su emergenza…

Però così facendo, gli errori dei decisori (tutti, politici e medici) sono ricondotti nell’alveo di una dottrina economicistica della salute umana e più in generale delle persone. Una visione, piuttosto compatta, e calata dall’alto, che non ha nulla a che vedere con un’ etica diffusa, quindi in basso, della responsabilità individuale.

Detto altrimenti: siamo dinanzi a una concezione assistenzialistica dell’individualismo che punta sull’individuo deresponsabilizzato, quindi assistito. Come pure sulla connivenza tra burocrazie pubbliche e cittadino “infantilizzato” .

Chi scrive ruppe teoricamente con gli anti-utilitaristi francesi del Mauss, da Alain Caillé a Serge Latouche, perché, dopo una montagna di analisi sul valore affettivo del dono sociale, si proponevano di combattere l’economicismo accrescendo i poteri di quel mostro freddo che risponde al nome di stato sociale. Che invece era ed è, come osservato, la quintessenza dell’economicismo, dell’utilitarismo e dell’individualismo assistito.

Cosa vogliamo dire? Che, l’idea weberiana della “gabbia d’ acciaio”, spesso usata a sproposito, rinvia, in termini di sociologia del potere politico, alle conseguenze indesiderate di un processo spontaneo di razionalizzazione del vivere sociale, via mano invisibile. Di cui però, si è impadronito lo stato in modo sempre più assoluto. Può apparire paradossale, ma ai tempi di Luigi XIV l’ individuo non era un numero di codice della previdenza sociale.

Certo, è vero che la modernità, in via teorica e di fatto, rinvia sul piano dello sviluppo sociale a una serie di processi di razionalizzazione nel diritto, nell’economia, nella politica, eccetera. Però è altrettanto vero che l’idea weberiana di “gabbia d’acciaio” rimanda non al processo in sé, ma alle sue conseguenze indesiderate, soprattutto sul piano della devastante estensione dei poteri pubblici.

Se, effettivamente, si vivesse in un mondo razionale, regolato dalla ragione umana, frutto di una spontanea razionalizzazione dei comportamenti individuali, l’epidemia, pardon la pandemia, sarebbe già un lontano ricordo. Dal momento che una ragionata etica della responsabilità individuale avrebbe radicalmente rifiutato qualsiasi approccio di natura emotiva, di tipo mitologico. Quindi avrebbe respinto l’idea stessa di emergenza, e così impedito il rovinoso interventismo statale che invece ne è derivato.

Insomma, del vicolo cieco in cui ci troviamo, non ha alcuna colpa la ragione. Anzi, si può dire, che c’è crisi per un difetto di razionalità. Ma negli individui, attenzione. Perché le istituzioni pubbliche non sono dotate di ragione.

Non esiste alcuna ragione collettiva, se non per razionalizzare, ma ad uso delle burocrazie politiche e sanitarie, il delirio d’ onnipotenza dello stato sociale.

Ecco la vera gabbia d’acciaio.

Carlo Gambescia

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