venerdì 31 dicembre 2021

VERGOGNA!

 


Per farla breve: il Super Green Pass, se non si è guariti, prevede, di fatto, una “vaccinazione” ogni quattro mesi. Altrimenti, si sarà costretti a subire una dura quarantena, come pure l’ interdizione persino dall’uso dei mezzi pubblici.

Una misura – attenzione – che permarrà per tutta la durata dello stato d’emergenza (*). Durata che dipende dalle decisioni del governo. Insomma, mai fine pena…

Vergogna! Le misure prese sono gravissime. Si costringono le persone all’ inoculazione ogni 120 giorni di uno pseudo vaccino sul cui valore terapeutico non sono d’accordo neppure gli scienziati. Al riguardo si ripercorra la storia dei vaccinazioni, e soprattutto dei richiami, sempre in numero ridottissimo, a cominciare da quello storico contro il vaiolo. Si capirà subito che il vaccino è una cosa seria e un fattore di progresso. E che oggi, di conseguenza, qualcosa non funziona.

Che cosa? Lo abbiamo scritto un milione di volte. L’epidemia, pardon pandemia, si è tramutata, probabilmente fin dall’inizio, in risorsa politica, in fatto organizzativo, in frenesia di fare comunque qualcosa per guadagnare o non perdere consenso. Si pensi, per capirsi, a un infernale mix tra demagogia e pandemia. Una miscela socialmente esplosiva.

Di qui, l’uso della parola magica: vaccino.  Impiegata alla stregua  di tante altre parole o frasi magiche dei nostri tempi, come “uguaglianza”, “umanità”, “nessuno resterà indietro”, “dov’è lo stato?”, e così via.

Si è puntato sul piano comunicativo e organizzativo sulla natura risolutiva delle vaccinazioni di massa. Cosa però, che per un serie di ragioni (dalla breve sperimentazione a una complicata produzione di massa) non era fattibile fin dall’inizio.

Il che ha nevrotizzato le “autorità”, favorendo nei riguardi dei cittadini, anch’essi, avviluppati in un clima di paura, sempre più in precarie psichiche. Sottoposti a estenuanti politiche dello “stop and go”, basate, sulle teorie di Pavlov, sui colori, sulle cifre manipolate, sulle dichiarazioni apodittiche dei cosiddetti scienziati con incarichi politici ed istituzionale. Quindi legati al potere.

Ciò è accaduto nel brutto quadro astratto di una visione assistenzialista, in cui lo stato si sostituisce all’individuo. Come però? Accrescendo le aspettative, senza però avere – perché impossibile dal punto di vista fiscale, se non si vuole giungere all’espropriazione – le risorse necessarie per soddisfarle. Di qui, i successivi giri di vite, le “strette” alle nostre libertà, per evitare l’implosione, dove sono presenti, dei sistemi sanitari pubblici. E così salvaguardare una specie di fabbrica del cioccolato elettorale.

Gli ultimi provvedimenti, come dicevamo, non sono altro che lo scontato approfondimento di una politica illiberale, ridotta al grado zero del rapporto tra comando e obbedienza, senza alcun rispetto per la libertà dei singoli e per il delicato rapporto tra imposizioni pubbliche e libere scelte private. E la cosa peggiore è dettata, ripetiamo, da un clima di disorientamento generale, in cui Willy Wonka Draghi, passa pure per buono…

Carlo Gambescia

(*) “Green Pass Rafforzato: Dal 10 gennaio 2022 fino alla cessazione dello stato di emergenza”. Qui la chiave di lettura, in senso autoritario, del provvedimento: “Il decreto prevede che la quarantena precauzionale non si applica a coloro che hanno avuto contatti stretti con soggetti confermati positivi al COVID-19 nei 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale primario o dalla guarigione nonché dopo la somministrazione della dose di richiamo”. https://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2021/12/29/il-nuovo-decreto-su-quarantene-e-super-pass-in-pillole_7eea665a-e25f-49fa-82e5-0e5b6f0b0546.html .

giovedì 30 dicembre 2021

A proposito di previsioni metapolitiche

 


Talvolta mi interrogo sul valore di “azzeccare” le previsioni (*). Si dirà che quanto è accaduto negli ultimi due anni si poteva prevedere facilmente, e che il sapere sociologico, nulla aggiunge a quel che già sapeva e sa il famigerato uomo della strada.

In realtà, la gente comune, l’uomo medio insomma, si basa sulla propria esperienza di vita, su qualche lettura, su quel che sente, vede, crede di capire.

Diciamo che l’uomo della strada va subito alle conclusioni. Anche perché esiste un principio che regola la vita sociale: quello del minimo sforzo. Lo scopo o finalità di un’azione viene sempre commisurato, individualmente, allo sforzo che può o meno comportare. Per fare un esempio, ripetere un bella frase captata durante una conversazione, costa meno tempo e fatica che capirne il senso. Diciamo che la vita sociale si basa sulla semplificazione, sulla reiterazione, sull’emulazione.

Sicché esistono due tipi di previsione, quella basata sulla semplificazione e quella fondata sulla complicazione.

Ad esempio, a livello di pensiero comune, il ragionamento astratto, comporta tempo, studio, applicazione, eccetera. Di qui, il suo non essere alla portata di tutti, dal momento, come detto, che la gente comune preferisce, quasi in modo istintivo, allo sforzo complesso quello ridotto e semplificato.

Ora, per tornare alle nostre previsioni, si parla di un livello di astrazione elevato: le costanti metapolitiche, rimandano a schemi sociologici e politici di comportamento collettivo, non afferrabili in base al principio del minimo sforzo. Perché richiedono – ripeto – studio, applicazione, e così via. Cose “da professori” di scienze sociali. Non alla portata di tutti.

Ad esempio, dire che un’emergenza provocherà inevitabilmente un accentramento del potere e una riduzione della libertà individuale non è di facile comprensione. Perché la gente comune scorge, quasi istintivamente, nell’organizzazione, che è alla base dell’accentramento, un risposta che solleva dalla fatica della responsabilità di fare una scelta.

Ovviamente, il cosiddetto uomo medio non si rende conto che la libertà è in gioco. “Si fa così perché è così…”. Obbedire è sempre più semplice che disobbedire. Il costo individuale dell’ anticonformismo, in termini di principio del minimo sforzo, è sempre più elevato del costo del conformismo.

Perché mutare le proprie abitudini? Sotto questo aspetto l’organizzazione è vista dalla gente comune come un potente mezzo di conservazione della vita sociale, e quindi delle abitudini sociali. Però, fino a un certo punto, come vedremo dopo.

Pertanto, criticare l’organizzazione sociale significa criticare le abitudini dell’essere sociale, e criticare le abitudini significa mettersi contro il principio del minimo sforzo. Contro la stessa natura sociale degli esseri umani.

Il che spiega per quale ragione la previsione “complicata”, viene vista come una specie di entrata a gamba tesa che turba l’ordine sociale.

Naturalmente, come anticipato, il principio del minimo sforzo ha una controindicazione. Proprio perché tale, quando il costo di una società, sempre più organizzata e accentrata, impedisce o contrasta il ritorno alle abitudini sociali, opponendo ad esse, il grado zero della politica, nel senso di puri ordini e comandi, cervellotici e incomprensibili persino per la gente comune, conformismo e obbedienza divengono troppo “costosi”.

Il gioco, per capirsi, non vale più candela. E rischia così di aprirsi il nuovo ciclo dei disordini sociali, ossia  delle ribellioni e rivoluzioni.  Per inciso, si noti come l'organizzazione implichi sempre, come effetto (perverso) finale,  il suo contrario: la disorganizzazione.  

Parlo di  un nuovo ciclo  che non migliora le cose, accresce i costi sociali  e di regola sfocia nelle dittature.Spesso militari.

Ovviamente, spero, di non “azzeccare” anche questa previsione.

Carlo Gambescia

(*) Mi riferisco al mio Metapolitica del Coronavirus. Un diario pubblico, postfazioni di Alessandro Litta Modignani e Carlo Pompei, Edizioni Il Foglio 2021 (https://www.ibs.it/metapolitica-del-coronavirus-diario-pubblico-libro-carlo-gambescia/e/9788876068287 ). Libro definito “profetico” da alcuni lettori.

mercoledì 29 dicembre 2021

Code in farmacia e inerzia sociale...

 


A volte alcuni lettori chiedono di spiegare meglio come si manifesti ciò che in sociologia si può chiamare forza inerziale del fatto sociale. Qualcosa che sembra ricordare la verdiana “forza del destino”…

Anche se tirare in ballo Verdi non crediamo aiuti. Quanto alla sociologia, certi paroloni non sono di facile comprensione per tutti.

Comunque sia, ci proviamo. Si prenda questo titolo:

«Quanto è difficile fare un tampone a Roma durante i giorni di festa » (*)

Esemplare anche il sommario o catenaccio:
 

«Le code ai drive-in e fuori dalle farmacie, registrate tra la vigilia e soprattutto a Santo Stefano, raccontano di una corsa al test che ha messo a dura prova il sistema della Capitale».

L’epidemia, pardon la pandemia, ossia il fatto sociale, è dato per scontato, come fare un pieno all’ autovettura, fare la spesa, andare dal tabaccaio, eccetera, eccetera.

Si fa lo spesa-test come qualsiasi altro giro al centro commerciale. Qualcosa che si fa per forza d’abitudine. Qualcosa che si deve fare perché “si fa così”, prescindendo da qualsiasi riflessione sul perché si faccia il pieno, la spesa, e così via.

Un atto sociale che, ovviamente, si trasforma, in un problema, quindi meritevole di riflessione autonoma, solo nel caso di file, code, eccetera. Cioè di qualcosa ma, all' interno del fenomeno,  che prolunghi i tempi dell’inerzialità. Di qui, la richiesta di intervenire, sui tempi, ma non sul perché delle abitudini, dell’inerzialità.

Cosa vogliamo dire? Che, quando un fatto sociale, si trasforma in fenomeno inerziale, cessa ogni riflessione, sui fini, ossia sul suo “perché”,  per ragionare, eventualmente, solo di mezzi, ad esempio sul  "come" evitare le attese. In sintesi, il "come" prevale sul "perchè".

Sicché chiunque si proponga di ragionare di fini, viene considerato, fuori luogo, fuori posto, quindi escluso in qualche misura dal dibattito sui mezzi. Che si trasforma nell’unico destino della società. Di qui, in nostro iniziale accenno, all’omonima opera verdiana, accenno forse sociologicamente improprio, ma efficace.

Per farla breve, chiunque osi ancora interrogarsi sulla natura dell’epidemia, pardon pandemia, sui fini insomma, è automaticamente giudicato come il portatore di un messaggio estraneo. Uno straniero, un migrante dell’intelletto. Al quale interdire l’ingresso.

E per oggi, crediamo basti così. Il lettore però rifletta.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.agi.it/cronaca/news/2021-12-29/tamponi-roma-caos-15053114/ .

martedì 28 dicembre 2021

L’ironia fuori luogo di Carlo Cottarelli

 


“Dal primo gennaio il tetto sul contante scende a 1.000 euro. Ora ci saranno quelli che dicono che gli anziani non potranno più andare a far spesa al mercato (con solo 1.000 euro?). Non sarà la mossa decisiva per ridurre l’evasione fiscale, ma è un segnale positivo”.

Così, ironicamente, Carlo Cottarelli (*) .

Ironia fuori luogo. In realtà, non ci si rende conto che è in gioco un principio di libertà. Quello di decidere, liberamente, cosa fare con il proprio denaro.

Si dice però che solo in questo modo, tracciando i pagamenti, si può contrastare l’evasione fiscale e addirittura la mafia.

Il ragionamento è il seguente: dal momento che i tributi sono percepiti dallo stato per fornire servizi sociali ai cittadini, coloro che si rifiutano di pagare le tasse sono cattivi cittadini o mafiosi che trafficano, eccetera, eccetera.

Di qui, una legislazione punitiva, che giunge fino alla limitazione dell’uso del contante.
Ora, se lo spirito di libertà, per così dire, fosse ancora vivo e lottasse insieme a noi, la gente si ribellerebbe, perché una tesi del genere è inconsistente: 1) lo stato non è in grado di offrire alcun servizio; 2) la mafia si combatte con l’antiproibizionismo e le privatizzazioni, cacciando fuori a calci lo stato dall’economia, primo agente corruttivo e concussivo.

E invece, vince la passività più completa, il masochismo politicamente organizzato. Anzi, ancora peggio, trionfa l’ideologia penalistica del Welfare state. Di uno stato, dio mortale, che pretende di sapere ciò che è bene per ogni cittadino.

Un codardo silenzio collettivo che permette a Cottarelli, classico burocrate dei numeri, che potrebbe servire qualsiasi regime, escluso quello liberale, di fare ironia, su un grande principio di libertà. 

Così oggi vanno le cose.  Che tristezza.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.agi.it/economia/news/2021-12-27/primo-gennaio-contanti-tetto-scende-mille-euro-15044707/ .

lunedì 27 dicembre 2021

“Pandemia” e rischio assolutistico

 


Nella Francia dell’assolutismo politico di Luigi XIV esisteva il problema di verificare se le misure prese andassero a effetto. Se i francesi, insomma, ubbidissero. Di qui una serie di controlli, in particolare di intendenza, che però andavano a scontrarsi, con i poteri locali dell’aristocrazia e del clero, che attraverso i parlamenti e gli organismi sinodali, si opponevano a provvedimenti che ne limitassero la libertà. Insomma l’assolutismo politico, non era così assoluto.

Nella Russia sovietica, l’intera società era sottoposta al potere del partito, spesso nelle mani di un uomo solo. Tuttavia, addirittura sotto Stalin, si consentiva ai contadini comandati in strutture collettivizzate di coltivare micro-apprezzamenti per i bisogni personali. E spesso si chiudeva un occhio sul piccolo commercio di prodotti agricoli di consumo. Insomma, il totalitarismo sovietico, non era così assoluto.

A prima vista qualsiasi paragone con le nostre società libere può apparire improponibile. Anche perché, proprio perché tali, qualsiasi misura restrittiva della libertà viene subito ritenuta lesiva.

Però, in realtà, e qui si pensi all’attuale normativa antiepidemica, pardon antipandemica, i dispositivi tecnologici consentono, almeno in linea di principio, forme di controllo, sconosciute nella Francia di Luigi XIV come nella Russia di Stalin.

Sicché, quanto più il potere fa uso di raffinate tecnologie di controllo, tanto più cresce il rischio di una involuzione totalitaria o assolutistica della società. Una involuzione – qui forse la differenza con il passato – che però viene facilitata dai livelli crescenti di consenso diffuso tipici delle società democratiche. 

Non si tratta di obbedienza passiva ma della persuasione (che può esprimersi, per l’appunto, in forme democratiche) che il potere stia facendo il bene del cittadino. Di qui un’obbedienza collettiva frutto di una individuale razionalità rispetto al valore (“Il nostro bene collettivo”), che ovviamente nel tempo, può assumere  i contenuti del  comportamento emulativo (“Si fa così perché si è sempre fatto così”).

Pertanto nella costruzione dello stato assoluto o totalitario, si possono distinguere quattro fasi: a) quella della paura (la Francia e la Russia, avevano dietro di sé la guerra religiosa e civile); b) quella della forza (l’introduzione delle misure accentratrici restrittive); c) della persuasione ( “della razionalità rispetto al valore); d) del conformismo emulativo (del “si è fatto sempre così”, eccetera).

Il lettore perciò può comprendere come l’attuale situazione epidemica, pardon pandemica, sia molto rischiosa dal punto di vista della costruzione sociale del potere assoluto. Il fatto che la gente comune sia d’accordo con il potere, rappresenta per chiunque abbia letto Tocqueville,  un fattore sociologico addirittura aggravante. Come del resto il fattore paura: legato non più alla guerra civile e religiosa ma a quella al virus, che non è altro che la prosecuzione dei due tipi guerra appena ricordati.

Di qui, il consenso, come dicevamo, la stabilizzazione conformistica, eccetera, eccetera. La cui portata politica negativa, in prospettiva, sembra addirittura superiore a quella legata ai nomi di Luigi XIV e Stalin.

Carlo Gambescia

domenica 26 dicembre 2021

Spaesamento e società

 


Georg Simmel, acutissimo sociologo, fu il primo a occuparsi ai tempi della “Belle époque” della condizione di spaesamento del viaggiatore nelle grandi stazioni ferroviarie. Allora al top della prima modernità.

Quel non sapersi subito orientare, pur nella necessità di dover prendere un treno in partenza, in contiguità con altri esseri umani circondati da altri esseri umani alle prese con lo stesso problema, colpì l’attenzione di Simmel al punto di farne una metafora della vita moderna.

Ci si sfiora senza conoscersi in cerca di qualcosa, che gli altri cercano, ma di cui nessuno parla o comunica all’altro. E si prende atto della situazione, puntando sullo scetticismo.

Ecco, per capirsi, la “Società del Covid”, ricorda la stazione simmeliana, con la differenza di un eccesso di comunicazione che complica ancora di più le cose. Se il viaggiatore – o l’uomo metropolitano – di Simmel era solo nella folla ferroviaria, oggi l’individuo, pur essendo meno solo, grazie alla vicinanza, spesso soffocante,  delle istituzioni,  soffre, proprio per questo,  di  un eccesso  di  informazioni.

Il disorientamento o spaesamento dipende dal troppo e non dal troppo poco informativo.

Il che spiega perché il diluvio informativo abbia trasformato lo spaesamento in regola.

Siamo davanti al comportamento tipico di un uomo sottoposto a una sovrabbondanza di stimoli, quindi incapace di reagire a sensazioni nuove, se non con l’indifferenza.

Però l’uomo di Simmel era scettico, diciamo attivo, mentre l’uomo di oggi è scettico ma passivo. Allora si era l’inizio della modernità. Oggi non pochi parlano di fine della modernità

Insomma, ai tempi del Covid, la stazione rischia di trasformarsi in prigione. O quasi.

Carlo Gambescia

venerdì 24 dicembre 2021

Approcci (sociologici) al Natale…

 


Che cos’è il Natale? Sociologicamente parlando, possiamo distinguere quattro approcci.

Per il cristiano ha un valore religioso (primo approccio), in qualche misura, nei caratteri più evoluti, teologico. Per un laico un valore spirituale o materiale in relazione alla personale visione della vita (secondo approccio).

Per tutti, ovviamente, è un momento di riposo, da trascorrere, se possibile, con i propri cari. Oppure per organizzare viaggi, vacanze e attività di tipo turistico, sulla neve, nelle città d’arte, oppure nei caldi mari del sud. Sotto questo aspetto, intorno al Natale, ruota un business economico considerevole, di natura mondiale.Possiamo perciò parlare di approccio economico al Natale (terzo approccio).

Il fatto che questa festa non abbia più un significato esclusivamente religioso è criticato oppure magnificato in base alle credenze personali. Resta però il fatto che il 25 dicembre è tuttora considerato nei paesi di tradizione cristiana una ricorrenza con effetti civili. Un giorno in cui non si lavora. Molte aziende chiudono per periodi che spesso si prolungano fin dopo il primo dell’anno. Lo stesso discorso vale per le scuole e le istituzione superiori.

Da due anni ad questa parte si sono abbattute sul Natale, come fulmini a ciel sereno, numerose misure coercitive della libertà personale. Legate all’epidemia, pardon pandemia. Agli altri approcci si è così aggiunto il quarto approccio: quello sanitario al Natale. Che, come si proclama, è per il bene dei cittadini. Un approccio che però limita, spesso grandemente, la libertà di riunione e movimento.

Riassumendo, abbiamo individuato quattro approcci sociologici al Natale: (1)religioso, (2) laico, (3) economico, (4) sanitario.

Sono compatibili l’uno con l’altro? L’approccio religioso è in contrasto con quello laico ed economico. Mentre quello economico, a differenza del laico, non è almeno di principio, contrario ad estendere, per esempio, la possibilità di viaggi al turismo religioso. L’approccio sanitario, infine, può essere apprezzato solo dai quei laici che vedono nello stato una specie di dio mortale capace di provvedere al bene della gente.

Per contro, gli approcci religioso ed economico scorgono nell’approccio sanitario, come del resto i fautori di un approccio laico ma individualista, un ostacolo alla libertà di festeggiare il Natale, secondo il proprio libero credo, materialista o idealista che sia.

Quindi sussistono motivi di incompatibilità.

Inoltre, all’interno dei tre approcci principali (religioso, laico, economico) possono rilevarsi, come oggi si dice, “narrazioni” conformiste o anticonformiste nei riguardi dell’approccio sanitario al Natale.

Si pensi al rispetto verso le decisioni del potere politico, teorizzato e praticato nelle religioni cristiane. Oppure al senso di obbedienza laica, molto incoraggiato, nei riguardi delle leggi dello stato. O ancora, nella possibilità di poter godere di finanziamenti pubblici di sostegno alle attività private, una formula che facilita l’obbedienza degli operatori economici.

Ovviamente, l’obbedienza religiosa, laica, economica può trovare un limite nel cosiddetto spazio di rottura della disciplina sociale, che viene a determinarsi quando la differenza di danno sociale tra obbedienza e disobbedienza è in favore di quest’ultima. Cioè, all’individuo conviene più ribellarsi che obbedire.

Stando agli studi di Sorokin esiste un limite sociale, rappresentato dal monopolio di un approccio su tutti gli altri. Si potrebbe parlare di una costante metapolitica (cioè di comportamenti che si ripetono regolarmente nella storia sociale).

Ciò significa che quanto più un approccio si fa totalitario, nel senso del suo univoco dominio su tutti gli altri, tanto più cresce il rischio della disobbedienza civile e dei disordini sociali. Quanto più invece esiste equilibrio tra i diversi approcci, tanto più si obbedisce senza neppure accorgersi di obbedire, perché la libertà di fondo è per tutti garantita.

Sorokin nei suoi studi si riferisce ai grandi macrosistemi di verità, conoscenza e credenze sociali (ideazionale, idealistico, sensistico), ma le sue tesi possono essere impiegate, come qui abbiamo fatto, anche per analizzare i microsistemi di credenza, come per l’appunto, quello degli approcci al Natale.

Sicché – compito a casa – il lettore, da solo, ora tragga le conclusioni su ciò che sta accadendo in questi giorni di festa, per così dire.

A proposito, Buon Natale a tutti!

Carlo Gambescia

giovedì 23 dicembre 2021

Draghi al Quirinale? Quando un uomo con il fucile incontra…

 


Draghi aspira al Quirinale? Secondo alcune fonti, sì. Le frasi “incriminate” sarebbero queste:

«“Più che l’espressione “sono un nonno al servizio delle istituzioni”, a sollevare interrogativi nei partiti sono tre le frasi ‘incriminate’ pronunciate da Draghi: “E’ essenziale che la legislatura vada avanti fino al suo termine naturale per continuare l’azione di contrasto alla pandemia, di rilancio della crescita, l’attuazione del Pnrr”. Poi, “abbiamo creato le condizioni perché l’operato del governo continui indipendentemente da chi ci sarà”. E, soprattutto: “Chiedo alle forze politiche se è immaginabile una maggioranza che si spacca sull’elezione del presidente della Repubblica e poi si ricompong amagicamente quando è il momento di sostenere il governo. È una domanda che dobbiamo farci” » (*).

Che l’uomo abbia un’ ambizione sconfinata è indubbio. Come non può essere dimenticato il fatto che Draghi goda di importanti agganci istituzionali in Italia (Banca d’Italia e banche maggiori, mondo industriale, ministeri economici, persino, si dice, nella Cisl e Uil) e all’estero (Fmi, Banca Mondiale, istituzioni Ue, agenzie di rating).

Una vera potenza relazionale. Quindi qualche sospetto, che dalla quarta tornata in poi, possa essere votato ed eletto, esiste. 505 voti “sistemici” su poco più di mille si possono trovare. “Sistemici” nel senso di filogovernativi, del “va bene così, avantì così”. Come dicevano i latini, “Quieta non movere et mota quietare”. Grosso modo: “Non agitare ciò che è calmo, ma calma piuttosto ciò che è agitato”.

Ma sotto “l’autorevolezza” e l’ambizione di Draghi, c’è un progetto politico? Cosa si nasconde sotto la camomilla “sistemica”?

Sì,inutile fingere, il progetto c’è ed è di tipo presidenzialista. Ovviamente all’italiana, perché sulla carta (costituzionale) la Repubblica resterebbe “ufficialmente” di natura parlamentare.

Pertanto si rischia un imbroglio politico, non troviamo altro termine. Che consentirebbe però a Draghi di tenere le fila di un governo, diretto da un suo uomo di fiducia, ad esempio Daniele Franco, l’attuale ministro dell’Economia e delle Finanze, che verrebbe sostituito da un altro uomo, altrettanto di fiducia, della Banca d’Italia.

Ovviamente per i sostenitori di Draghi, parlare di imbroglio politico suona irriguardoso. Soprattutto verso un uomo che si dice al servizio delle istituzioni. Quindi, rispettosissimo della Costituzione, eccetera,eccetera. Non sia mai…

In realtà, con Draghi al Quirinale e un suo fedelissimo al governo a chiudere il cerchio politico, cosa potrebbe accadere? Facile. Che giungerebbe in porto quel processo di concentrazione del potere e di indolore trasformazione (per l’appunto alla camomilla) della Repubblica parlamentare in Repubblica presidenziale, iniziato con i due anni in più di permanenza al Colle di Napolitano,

Certo, Repubblica presidenziale di fatto, non ancora di diritto. Ma tale.

Altro che divisione dei poteri… E per giunta in un’Italia da due anni in stato di emergenza, con un Parlamento in pratica esautorato e una magistratura – sia ordinaria sia costituzionale – che non muove un dito in difesa delle libertà.

Esageriamo? Giudichi il lettore.

Comunque sia, come fa quell’espressione messicana, usata nei telefilm di Coliandro? “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto…”.

Ecco, in questo caso l’uomo con il fucile è Mario Draghi. E gli italiani non hanno neppure una pistola.

Fucile e pistola, in senso metaforico ovviamente. Ci mancherebbe altro.

Però, la metafora, diciamo così, rende bene l’idea del vicolo cieco in cui l’Italia si è cacciata chiamando Mario Draghi al potere. Altro che nonno d’Italia…

Sveglia coglioni. Basta con le camomille.

Carlo Gambescia

(*) Si veda qui: https://www.agi.it/politica/news/2021-12-23/parole-draghi-agitano-leader-governo-vada-avanti-14999488/

mercoledì 22 dicembre 2021

“Gabbia d’acciaio” e strategie antiCovid

 


Nel marzo dello scorso anno, sull’onda di una risposta emotiva alla situazione, si parlò di differenze stilistiche tra le strategie di approccio statunitense ed europea all’ epidemia, pardon pandemia: economicista-utilitarista la prima, solidarista-universalista la seconda. Cattiva la prima, buona la seconda, se ricordiamo bene.

In realtà, a prescindere dai giudizi di valore, il confronto da formulare, eventualmente, era ed è tra etica della responsabilità individuale (Stati Uniti) ed etica dell’individualismo assistito (Europa).

Tuttavia, nei fatti, prevalse sulle due sponde dell’Oceano Atlantico un interventismo statale, di sostanza. Come del resto non può non accadere in tutte le situazioni di emergenza di origine immaginaria o reale. E fin quando durerà l’emergenza, le cose non muteranno, in Europa come negli Stati Uniti. Sorokin docet.

Su quest’ultimo aspetto c’è chi ora sostiene che l’epidemia, pardon la pandemia, “non passa”, perché politici e scienziati avrebbero sbagliato tutto. Di qui, pare di capire, la richiesta di una migliore organizzazione. Perciò di una overdose di burocrazia e individualismo assistito. Insomma, emergenza su emergenza…

Però così facendo, gli errori dei decisori (tutti, politici e medici) sono ricondotti nell’alveo di una dottrina economicistica della salute umana e più in generale delle persone. Una visione, piuttosto compatta, e calata dall’alto, che non ha nulla a che vedere con un’ etica diffusa, quindi in basso, della responsabilità individuale.

Detto altrimenti: siamo dinanzi a una concezione assistenzialistica dell’individualismo che punta sull’individuo deresponsabilizzato, quindi assistito. Come pure sulla connivenza tra burocrazie pubbliche e cittadino “infantilizzato” .

Chi scrive ruppe teoricamente con gli anti-utilitaristi francesi del Mauss, da Alain Caillé a Serge Latouche, perché, dopo una montagna di analisi sul valore affettivo del dono sociale, si proponevano di combattere l’economicismo accrescendo i poteri di quel mostro freddo che risponde al nome di stato sociale. Che invece era ed è, come osservato, la quintessenza dell’economicismo, dell’utilitarismo e dell’individualismo assistito.

Cosa vogliamo dire? Che, l’idea weberiana della “gabbia d’ acciaio”, spesso usata a sproposito, rinvia, in termini di sociologia del potere politico, alle conseguenze indesiderate di un processo spontaneo di razionalizzazione del vivere sociale, via mano invisibile. Di cui però, si è impadronito lo stato in modo sempre più assoluto. Può apparire paradossale, ma ai tempi di Luigi XIV l’ individuo non era un numero di codice della previdenza sociale.

Certo, è vero che la modernità, in via teorica e di fatto, rinvia sul piano dello sviluppo sociale a una serie di processi di razionalizzazione nel diritto, nell’economia, nella politica, eccetera. Però è altrettanto vero che l’idea weberiana di “gabbia d’acciaio” rimanda non al processo in sé, ma alle sue conseguenze indesiderate, soprattutto sul piano della devastante estensione dei poteri pubblici.

Se, effettivamente, si vivesse in un mondo razionale, regolato dalla ragione umana, frutto di una spontanea razionalizzazione dei comportamenti individuali, l’epidemia, pardon la pandemia, sarebbe già un lontano ricordo. Dal momento che una ragionata etica della responsabilità individuale avrebbe radicalmente rifiutato qualsiasi approccio di natura emotiva, di tipo mitologico. Quindi avrebbe respinto l’idea stessa di emergenza, e così impedito il rovinoso interventismo statale che invece ne è derivato.

Insomma, del vicolo cieco in cui ci troviamo, non ha alcuna colpa la ragione. Anzi, si può dire, che c’è crisi per un difetto di razionalità. Ma negli individui, attenzione. Perché le istituzioni pubbliche non sono dotate di ragione.

Non esiste alcuna ragione collettiva, se non per razionalizzare, ma ad uso delle burocrazie politiche e sanitarie, il delirio d’ onnipotenza dello stato sociale.

Ecco la vera gabbia d’acciaio.

Carlo Gambescia

martedì 21 dicembre 2021

Buon senso, senso buono, cattivo senso… In margine a un intervento del Quirinale

 


E’ di buon senso, senso buono, cattivo senso, dire ai cittadini che stanno facendo i bravi perché invece di dividersi hanno scelto di unirsi? E che, infine, la crisi, nonostante tutto, è un’opportunità per correggere le disuguaglianze  economiche e puntare sulla svolta ecologica?

Innanzitutto, di chi sono le parole, da noi sintetizzate nell’incipit? Del presidente Mattarella.

Ora, un passo indietro.

Il buon senso, un tempo era quello del padre o della madre di famiglia, che ripetevano scontatezze sociali, luoghi comuni del tempo: studiare, lavorare, sposarsi.

Il senso buono è quello che fa ascendere socialmente, si dice anche “fare carriera”, significa saper fiutare quale strada giusta prendere, per “piazzarsi” nella vita.

Infine, il cattivo senso è sempre quello degli altri. Di chi non si uniforma, dell’escluso, di chi non capisce, anzi non vuole capire che il buon senso e il senso buono hanno un valore inclusivo, perché tutto sommato si fa ciò che gli altri si aspettano dagli altri, secondo gli usi e costumi del tempo. Che, regolarmente, mutano.

Di questi tempi, per fare un esempio, una magnifica prova di buon senso come (soprattutto) di senso buono, è sicuramente quella di condividere e rilanciare le parole del presidente Mattarella. Di ripetere cose, condivise apparentemente dalla maggioranza dei cittadini, “sacralizzate" addirittura in in alto.

Un conformismo che apre tutte le porte, perché si è dalla parte giusta, quella del potere. E che, al di là del fatto utilitaristico (la “carriera”), gratifica, e pacifica “dentro” le persone, come ogni logica del gregge.

In realtà, sociologicamente parlando, ciò significa che il buon senso e il senso buono favoriscono il consenso politico. Il cattivo senso invece rinvia alla dissidenza, alla presa di distanza dal potere.

Consenso e dissenso sono due costanti metapolitiche, che di regola “marciano” insieme. Perciò storicamente parlando, a prescindere dalla natura dei regimi politici, si è sempre verificato un conflitto tra buon senso e cattivo senso. Il politicamente corretto e il politicamente scorretto non sono un’invenzione della sinistra o della destra. Si potrebbe risalire alle civiltà mesopotamica ed egiziana.

Invece la modernità liberale, per la prima volta nella storia, ha favorito il dissenso, fino al punto di istituzionalizzarlo, si pensi ai diritti di parola, pensiero, stampa, eccetera.

Diciamo pure che si tratta di una grande conquista. Tra Thutmose I e Churchill, benché entrambi dal pendant imperialista (più spiccato quello del faraone) esiste un abisso, dettato, ripetiamo, dalla modernità liberale.

Mattarella, dispiace dirlo, politicamente parlando, è un cattolico di sinistra. Quindi un uomo politico che non ha mai accettato la modernità liberale. E per due volte: come cattolico e come socialista. Il che spiega  il tormentone ecologista  e sulle disuguaglianze economiche.

Esageriamo? Durante la cerimonia quirinalizia dello scambio di auguri, cosa si è fatto largo tra fiumi di buon senso e di spumante? Che si sarebbe dato troppo risalto agli oppositori, tra i quali ovviamente i No Vax, non citati esplicitamente dal Presidente. Dal momento che secondo Mattarella l’Italia si sarebbe mostrata unita contro l’epidemia, pardon pandemia (*).

Nessuno nega che gli italiani, in particolare la gente comune, abbia fatto i “compiti a casa”. Ciò però non toglie che sia errato tessere l’elogio della disciplina e del consenso. Insomma, di puntare sull’esaltazione del “primo della classe”. Alla quale però non va opposta la celebrazione dell’ultimo della classe. Il famoso elogio di Franti, il personaggio negativo deamicisiano.

Si deve invece ragionare. Perché il vero buon senso non è imitazione dell’altro, ma ragionamento. E con la propria testa.

Ora è vero che la politica si vendica sempre. Essendo fondata sulla decisione, a prescindere dal regime politico, perciò, per così dire, non può perdere tempo in chiacchiere. Figurarsi dinanzi a una pandemia… Si deve, decidere, ordinare, organizzare, e così via.

E se invece la pandemia fosse una semplice epidemia? Se il potere, per così dire, avesse preso lucciole per lanterne? Come riuscire a fare un passo indietro nel consenso generale, questo sì suicida, senza il cattivo senso di coloro che si oppongono al buon senso di Mattarella? Perché pretendere di sostituire al beneficio del dubbio la presunzione di maggioranza?

In effetti, la modernità liberale ha una vena utopica. Di qui, certa sua fragilità verso le pesantezze della politica. Per capirsi: è vero che coloro che sono denominati No Vax (che però non sono i soli a opporsi), sono in larga parte populisti ed estremisti. Però, ecco il punto, criticare, come fa il presidente Mattarella, chi dia troppo spazio al dissenso, significa mettere in discussione il ruolo rappresentativo, di tutte le opinioni, ruolo, diremmo istituzionale, svolto da mass media. Di conseguenza, chiunque lo critichi mette in grave discussione la modernità liberale, che proprio perché tale non può che favorire il dissenso, senza fare calcoli sulle sue presuntive dimensioni. Va salvaguardato in quanto tale. Punto.

Concludendo, il fatto, ammesso e non concesso, che l’Italia sia unita, eccetera, non implica la critica di un principio fondamentale della modernità liberale, come quello della libertà di pensiero. O comunque, addirittura l’elogio del conformismo. Seppure in maschera, diciamo, ben nascosto, dietro l’ esaltazione del buon senso.

Carlo Gambescia

(*) “ Le poche eccezioni – alle quali è stato forse dato uno sproporzionato risalto mediatico – non scalfiscono in alcun modo l’esemplare condotta della quasi totalità degli italiani”. Qui: https://www.quirinale.it/elementi/61716