mercoledì 10 ottobre 2018

Il “Corriere della Sera”, riparte da Lenin
Un giornale-spugna




L’editoriale  di Federico  Fubini sul “Corriere” di oggi (*),  appartiene al genere dico senza dire, perché non si sa mai… Gli spetta un posto d'onore in un' ideale antologia del giornalismo-spugna. Che fiuta l'aria, assorbe, eccetera, eccetera. Si dirà: ma non  è questo il compito del giornalismo? Sentire gli umori, eccetera? Certo,  ma dipende dagli umori...  
Fubini  parte da  Lenin e  Angelica Balabanoff ( per la serie, conosco i fondamentali) per giungere a criticare il governo giallo-verde ( con l'intenzione neppure tanto nascosta,  di recuperarne i moderati immaginari tra i gialli e pure tra i verdi).  E quali sono le accuse?   Eccesso di democraticità. Soprattutto, sottolinea l'editorialista,  quando si va  al governo, perché si rischia  la  paralisi interna e  l’auto-emarginazione  dell’Italia,  privandola di quei flussi economici e finanziari che oggi sono la norma:  il carbone postmoderno di Lenin, per svilupparsi e  fare - Fubini però non lo dice apertamente -  le rivoluzioni.  Capito?  Ragazzi, a Cinque Stelle,  imparate dallo zio Lenin...  Ve lo ricorda il "Corriere della Sera".   Pareto, parlerebbe di plutocrazia demagogica.    
Fubini,  accenna anche alle istituzione liberali, duramente messe alla prova dall'uno vale uno pentastellato,  ma con tono notarile,  senza un pizzico di giusto pride liberale, come per dire, questo passa il convento,  ragazzi fatevi furbi  come il papà del bolscevichi. 
Ripetiamo. Il pezzo di Fubini appartiene di diritto al   gattopardismo giornalistico del “Corriere della Sera”, che non è di oggi e che tutto sommato ha un suo fondamento antropologico-editoriale:  l’essere specchio politico di un’ Italia illiberale ( o liberale solo a parole),  fin   dai tempi di  Luigi  Albertini, degno di un Oscar impolitico per non aver  capito niente del liberalismo riformista di Giolitti,   Inciso: anche allora, nonostante le cassandre (proprio come oggi), l’Italia cresceva, si sviluppava, ma ogni italiano, scontento (proprio come oggi),  la tirava per la giacchetta. In realtà,  proprio nei periodi di sviluppo,  quando si comincia a stare benino,  nascono  le grandi questioni redistributive,  mai prima dunque: cosa che i sociologi sanno.  E anche Giolitti sapeva.  Ma  non il “Corriere della Sera di allora.  E giacchetta dopo giacchetta, alla fine vinse il fascismo, che se ci si passa la battuta un tantino volgare,  ridusse l’Italia in mutande. Ma questa è un’altra storia. 
Dicevamo dell’editoriale di Fubini.  Quell’eccesso di democrazia dei Cinque Stelle,  che il lettore medio dell’editoriale,  potrebbe scambiare per un  meritorio slancio  giovanile (“Massì, sono giovani, i Cinque Stelle,  cresceranno e l’acne estremista passerà”),  si chiama invece giacobinismo.  E viene da lontano e con la ghigliottina incorporata.   
Però, il “Corriere della Sera”  - e qui il problema non è  solo Fubini -  a Tocqueville  ha sempre preferito Lenin.  Per lisciare il pelo alla sinistra, o comunque ai “veri democratici”.
Missiroli, direttore, nel 1961, venne dimissionato, perché contrario al Centrosinistra, Montanelli,  oppositore del Compromesso storico, dovette farsi un “Giornale” per conto proprio. E così via, fino all’  Ostellino liberale, costretto a  cambiare  testata  perché  giudicato  “cripto-berlusconiano”.  Panebianco, ultimo panda liberale del “Corriere”, non si sa ancora  fino a quando resisterà da solo,  aggrappato con una mano,   sull’albero di Cairo.
Cosa vogliamo dire?  Che come sempre il “Corriere” -   questa volta nei riguardi dei populisti  -  si comporta   come una spugna.    Piano piano  però,  la spugna si sta accorgendo che il liquido di cui è intrisa,  maleodora.  E  allora che si fa?  Si riparte da Lenin… 

Carlo Gambescia