lunedì 29 ottobre 2018

L’editoriale sul  “Corriere” di oggi
Paolo Mieli e la tentazione fascista



Sappiamo benissimo che ciò che stiamo per scrivere potrebbe essere frainteso, o comunque infastidire,  ma francamente l’editoriale di Paolo Mieli sul “Corriere della Sera” di oggi è scandaloso.  Mieli non è lo sconosciuto redattore di un  foglio provinciale,  ma un prestigioso giornalista e un  affermatissimo  divulgatore storico televisivo.
Cosa sostiene?  Uno, che nella storia dell'Italia repubblicana non c’è mai stato alcun pericolo fascista, oggi come ieri.  Due, che le istituzioni sono sane e non sono mai state lambite da tentazioni autoritarie, se non in modo lieve nel 1964:  il famigerato  rumore di sciabole del generale dei carabinieri De Lorenzo.
Qui non possiamo non  ricordare  una cosa probabilmente non proprio  gradevole, perciò ci scusiamo in anticipo.  Adolf  Eichmann si vantava, durante il processo a Gerusalemme di aver convinto alcune  comunità ebraiche  a collaborare alla deportazione. Diceva la verità?  La questione della presunta passività  degli ebrei verso il nazismo è argomento scabroso.   Qualche ebreo però collaborò.
Ora, che un  prestigioso intellettuale come Mieli, che viene da una famiglia di religione ebraica,  affermi che in Italia  non esiste alcun pericolo fascista  o di derive  autoritarie,  ci riporta  indietro a quella  che potremmo definire  la questione del collaborazionismo.  Ovviamente, a commettere l’errore di non capire, ancora a  guerra iniziata,  le reali intenzioni di Hitler furono, e non pochi, anche  tra i non ebrei.  Però.
Mieli  confonde  le lagne interessate  di certa sinistra antifascista (ma non antitotalitaria) con quel clima da "tentazione fascista", tipico degli anni Venti e Trenta,  che invece  torna a invelenire  il dibattito politico italiano: dall’anticapitalismo all’antiliberalismo, dal nazionalismo  all’antiglobalismo, dal razzismo all'odio verso la Francia, decadente e liberale.  Insomma,  calpestare le carte di Moscovici non è un cosetta, uscita a caso, così tanto per,  ma è  un gesto esemplare  che rinvia all’immaginario del   disprezzo fascista  verso il discorso pubblico liberale.    
Non c’è dubbio  che la teoria del doppio stato, cara alla sinistra complottista,  che ritroviamo persino   in molti libri di storia,  sia una fesseria. Però resta il fatto che Di Maio e Salvini dicono cose di estrema destra, e  - aspetto ancora più pericoloso -   le presentano   come   naturale   prolungamento di un  buonsenso, sano e  diffuso. E  - terza cosa,  altrettanto grave  -   il "popolo"  beve e  applaude. Perché, allora,  accarezzare  i  mediocri protagonisti di un brutto film già visto?  Sminuendo il pericolo,  addirittura,  come si diceva un tempo, dalle colonne del "Corriere della Sera"?   
Probabilmente l’editoriale di Mieli è una risposta a quello di Giannini, di cui abbiamo scritto qualche giorno fa (*),  frutto capzioso, magari, di antipatie politiche e professionali.  Però, certe questioni dovrebbero restare fuori dall’analisi  politica e storica. Cazzo! (pardon),  Mieli, per fama, è una specie di Alberto Angela della divulgazione storica. Ha  enormi responsabilità. 
Ci permettiamo di  suggerire la lettura (o rilettura) de  La tentazione fascista di Tarmo Kunnas, importante studio storico (assai apprezzato da  Renzo  De Felice, maestro di Mieli), dove sono perfettamente  individuati  gli stereotipi ideologici, tornati  a  inquinare il dibattito politico italiano.
Perché commettere lo stesso errore di coloro che facilitarono il lavoro di Eichmann?                               

Carlo Gambescia