giovedì 18 ottobre 2018

   Il  complottismo  entra  ufficialmente  a Palazzo Chigi
Bye Bye discorso pubblico liberale…


Oggi sui giornali, per non parlare dei Social, si discute "della manina" di Di Maio, se ne ride, si ricercano i precedenti,  si dileggia la presunta impreparazione dei Ministri a Cinque Stelle, oppure si crede  nel complotto e ci si divide in tifoserie.
Nessuno che abbia capito la gravità dello  strappo del Vice Presidente del Consiglio pentastellato. Non verso l’alleato leghista, altrettanto populista e complottista, bensì uno strappo, e  definitivo,  verso il discorso pubblico liberale.
Mai  nella storia della Repubblica  si era verificato che una altissima carica politica, in televisione, addirittura in una trasmissione molto seguita  come  “Porta a Porta”,  gridasse al complotto in questi termini,  cioè indicasse un Nemico nell’Ombra pronto a colpire un Governo del Popolo. 
Lo strappo con il discorso pubblico liberale è nell’ufficializzazione del complottismo come  strumento politico e componente essenziale di un dibattito pubblico che a questo punto rischia  di tramutarsi da liberale  in  totalitario.  "Babbiamo",  direbbe  Montalbano?  No. Perché dietro le parole di Luigi Di Maio si possono scorgere tutti i  possibili e  perversi sviluppi del discorso pubblico complottista, che  chiama a raccolta il popolo, non contro un semplice avversario politico, ma contro il Nemico Pubblico: coloro che sono “servi dei mafiosi e dei corrotti”. La schiuma della schiuma, pidocchi da schiacciare.
Il pericolo totalitario  è nel fatto che con lo stesso meccanismo retorico,  che rinvia di volta in volta al complotto, si possono introdurre misure  restrittive, sempre più dure contro i Nemici del Popolo.  Se si vuole siamo dinanzi al passaggio, ufficiale da una retorica della transigenza a una retorica dell’intransigenza.  Per semplificare:   Bye bye discorso pubblico  liberale.
Si ride, del fatto che Di Maio, minacci una denuncia, “contro la manina” al Tribunale ordinario. Invece, non c’è proprio nulla da ridere, perché la logica è quella del chiedere la prigione per il nemico politico. Richiesta che, oggi, rimanda  ai giudici , domani, potrebbe rinviare ai tribunali speciali, dopodomani ai tribunali segreti.  E infine direttamente al colpo di pistola alla nuca, come in Buio a mezzogiorno di Arthur  Koestler.
L’ accettazione  del  fatto  - e ieri sera Vespa ne ha dato tristemente prova  -  che  un Presidente del Consiglio  vada in tv a teorizzare ufficialmente  complotti occulti non solo ( o non tanto)  contro di sé e il suo governo, ma contro "il po-po-lo",   indica  che  la libertà è veramente in pericolo.  Perché  - attenzione -  le persone comuni, lo spettatore  medio, questa mattina discutono dell’esistenza o meno del complotto contro il popolo , non del vulnus al discorso  pubblico liberale. La "geeente" neppure sa  cosa sia.  Sono le élite che invece dovrebbero sapere dove fermarsi, come impone per l'appunto il discorso pubblico liberale.
Quindi, per così dire, "il popolo"  dorme tranquillo,  nella sua  semplicità (per non usare termini sgradevoli),  più che certo,  che un bonario padre, anzi  nel caso un “bravissimo ragazzo”,  Luigi Di Maio,  lo  stia  difendendo dal male. Si dirà,  okay, okay,  però  come la mettiamo  con i complotti giudiziari, evocati in passato  da Berlusconi?
Ecco complotti giudiziari, non dei "Savi di Davos"... Certo,  anche il Cavaliere ha le sue responsabilità,  ma era un imprenditore, un uomo d’affari, curava i propri interessi e se la  prendeva, non con un nemico occulto,  ma con i "magistrati di sinistra":   tutto sommato,  un politico fin troppo con i piedi per  terra.  Berlusconi  non rappresentava la punta dell' iceberg di un universo di lunatici politici che scorge  complotti ovunque  e che su queste terreno  crede di sapere  ciò che sia bene  per ogni italiano, da qui   all’anno Tremila.
Tra il Cavaliere e gente come Grillo, Casaleggio, Di Maio, Di Battista, eccetera, c’è differenza di specie non di grado.  E probabilmente molti italiani non  hanno  ancora capito.  E chissà se capiranno. 

Carlo Gambescia