Il libro della settimana: Esperanza
Guillén, Naufragi. Immagini romantiche della disperazione, Bollati
Boringhieri, Torino 2009, pp.112., numerose illustrazioni in bianco e nero nel
testo, euro 13,00 (*).
.
Nell’immaginario geopolitico dell’Occidente
da Erodoto a Carl Schmitt il “mare” rappresenta il discrimine della politica. O
se si vuole il punto focale di rottura tra Occidente e Oriente: da un lato la
flotta lanciata alla conquista del mondo conosciuto, cara alla civiltà prima
ateniese poi angloamericana; dall’altro gli eserciti di terra, marcianti in
ordine chiuso, altrettanto affamati di gloria, dal ferrato esercito persiano ai
cingoli dell’armata sovietica.
Ovviamente semplifichiamo. Ma a questo abbiamo pensato leggendo il bel libro di
Esperanza Guillén, storica dell’arte: Naufragi.
Immagini romantiche della disperazione (Bollati Boringhieri, Torino
2009, pp. 112, euro 13,00). Dove, attraverso un excursus nell’arte pittorica,
dall’ultimo quarto del XVIII secolo a tutto il XIX, si indaga il rapporto
uomo-mare, attraverso l’esperienza del naufragio, come fatto essenzialmente
metaforico e di civiltà.
Scrive la Guillén :
“La tematica del naufragio è perciò così
ampia da estendersi alle più diverse crisi dell’esperienza individuale o
collettiva. Il fatto è che il mare, per la sua stessa essenza liquida e per il
movimento perpetuo delle sue onde, è l’ ‘agente transitivo e mediatore tra il
non formale (aria, gas) e il formale (terra, solido) e, analogamente tra la
vita e la morte’. Il dinamismo proprio del mare gli conferisce una condizione
germinale come origine della vita, ma al contempo è anche simbolo di morte per
via della sua potenza distruttrice. E’ come se i contrari si riunissero nella
sua immensità: per questo può essere messo in relazione con qualsiasi aspetto dell’esistenza
positivo o negativo che sia”.
Perfetto. Naufragi
si legge e si apprezza proprio per il taglio geo-culturale, nonché per la
bellezza delle tavole pittoriche: da “Tempesta” (1775) di Claude-Joseph Vernet
alla “Nave nella tempesta” (1896) di Henri Rousseau, passando per “La zattera
della Medusa” (1818-1819) di Théodore Géricault. Per citarne solo alcune tra
quelle, tutte molto belle, della ricchissima iconografia.
Dicevamo all’inizio, le acque marine come discrimine politico. Ora, la Guillén , magari andando
oltre il suo libro, permette di ricondurre il mare nell’alveo di una simbolica
del potere. Dove il dominio sull’elemento finisce per raffigurare il movente
del più ampio atteggiarsi di una civiltà. Una in particolare: quella dell’
Estremo Occidente (angloamericano), quale personificazione di una volontà di
dominio delle acque, costi quel che costi.
Sarebbe perciò interessante estendere l’analisi di Naufragi all’Oriente,
indagando il rapporto tra l’uomo e l’esperienza del naufragio nell’arte, ma non
solo… Perché i risultati potrebbero essere completamente diversi. Forse nel
senso di maggior rispetto, se non timore, geopolitico nei riguardi della
tempestosa forza del mare? Non sappiamo. Ma varrebbe la pena tentare.
E uno spunto sembra offrirlo la stessa Guillén, dove nota che
“nel corso del XX secolo e gli inizi del
successivo, l’emigrazione ha trasformato la morte per mare in uno dei più
tragici fenomeni delle storia contemporanea (…). Perché la disperazione che
costringe questa gente ad abbandonare il proprio paese supera l’ansia di
avventura e soprattutto, e qui sta la differenza maggiore, perché noi viviamo,
dall’altra parte del mare ci sentiamo colpevoli per la loro sorte”.
.
Insomma, se l’Occidente sfidava il mare per
spirito di avventura, l’Oriente, sembra oggi sfidarlo per disperazione. Non più
bellicosi eserciti, ma per dirla una
tantum con Serge Latouche, soltanto poveri “naufraghi dello
sviluppo” .
Carlo Gambescia
(*)La recensione qui pubblicata (con un
altro lungo articolo su Europa e Turchia che apparirà altrove) doveva uscire su
"Imperi" rivista diretta da Aldo Di Lello (stretto collaboratore di
Gianfranco Fini). Il quale, però, dopo aver letto A destra per caso, libro scritto con Nicola
Vacca, mi ha cassato da "Imperi", ritenendo "non compatibile il
contenuto dell' opera con la partecipazione alla rivista da lui diretta".
In una parola: epurato.
Fini parla - come ieri sera a "Porta
a Porta" - di un Pdl dove sia finalmente "possibile dissentire senza
essere bollato di tradimento"... E poi permette che i suoi accoliti si
comportino come il Cavaliere... E questi sarebbero i
liberaldemocratici che chiedono a Berlusconi di essere rispettati... Povera Italia! (Carlo Gambescia)
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