Il libro della settimana: Teodoro Klitsche de la Grange , Funzionarismo,
Liberilibri 2013, pp. 156 – Euro 15,00 -
http://www.liberilibri.it/teodoro-klitsche-de-la-grange/215-funzionarismo.html
Teodoro
Klitsche de la Grange è firma nota ai nostri lettori. I quali di
sicuro ne apprezzano la profondità
di pensiero e la capacità di tratteggiare
in poche pagine una questione politica, spesso
giuridico-politica, fissandone le remote origini, i contraddittori sviluppi, abbozzando risposte e individuando le questioni aperte. I
suoi libri sono spettacolari galoppate, in barba
a tutti i gretti specialismi accademici
con tanto di numerini tabellari al seguito, tra filosofia del diritto,
scienza politica, storia e diritto costituzionale. Anche quest’ultima
fatica non sfugge all’aurea regola di casa de la Grange. Il titolo Funzionariato (Liberilibri), pur rinviando a un
dibattito antico, tenutosi tra Otto e Novecento, evoca una
questione di grande attualità: quella del potere delle burocrazie. Usiamo il
plurale non a caso, perché il fenomeno burocratico, travalica il pubblico e il
privato per
insediarsi in qualsiasi forma di organizzazione sociale. L’uomo,
nonostante i proclami, resta un
animale burocratico: ha necessità di certezze e sicurezze di vita. Di qui, la benevola (ma non
sempre) dittatura sociologica della routine. Bisogna prenderne
atto: dietro ogni rivoluzione c’è la ricostruzione. E alle spalle di
quest’ultima, si affaccia sempre un
onnipotente burocrate.
Non
stiamo divagando, perché su questa consapevolezza sociologica (e antropologica),
frutto di un sano realismo cognitivo,
Klitsche de la Grange ha costruito la trama del suo prezioso
studio. Dove ci si occupa in particolare della burocrazia pubblica dei moderni. E del suo rapporto, per così dire, di amore e odio con un potere politico-statuale, dal quale il burocrate, pur attingendo, sogna di emanciparsi, pretendendo però di non perdere nulla
in termini di sicurezza, immunità e
prebende,
Tre i
piani di lettura.
Il
primo, paretiano, che indaga
come (e quanto) l’ideologia burocratica sia funzionale alla perpetuazione della
struttura burocratica: la
funziona rinvia alla struttura e viceversa. Del resto, come impone l’invisibile gioco
degli interessi privati, il burocrate, anzi il funzionario (come poi
vedremo…), al di là delle pubbliche dichiarazioni di fedeltà al bene
comune ( purissime "derivazioni" paretiane), non può perseguire l’interesse del pubblico. Per quale
ragione? Perché, come impone
l’invisibile gioco degli interessi privati,
il suo scopo precipuo è curare il proprio interesse,
spesso identificandolo con quello del gruppo burocratico di appartenenza.
Si tratta, come ben evidenzia Klitsche de la Grange , di un vero e proprio “residuo”
comportamentale, per dirla ancora con Pareto. O se si preferisce un
costante sociologica. Detto
altrimenti, il cosiddetto magniloquente
“governo delle leggi”, di regola, sfocia nel tedioso governo dei burocrati. E più la norma (ancora peggio se “grund”…) è impersonale, più la sua applicazione diventa
dominio della straripante personalità collettiva e regolamentare
della burocrazia. Alla quale nelle democrazie rappresentative, a differenza dello stato assoluto, non
c’è alcun sovrano
altrettanto potente in grado di opporsi. Il che ovviamente, non significa che si debba tornare al
buon tempo antico. Ma soltanto, che andrebbe ridotta, la sfera d’azione
dell’intervento pubblico. Ma come?
Questo
aspetto conduce al secondo piano di lettura: quello dei rimedi. Klitsche de la Grange , non crede in salvifici paradisi
societari vietati ai burocrati. La modernità, teatro
di gigantismi, non può farne a meno. In questo senso, si contrappone “funzionariato”, come
strapotere dei funzionari pubblici, a
“burocrazia”, quale fisiologico (entro certi limiti) strumento organizzativo :
il primo sarebbe una «deviazione» della seconda. « Il connotato principale
- si osserva - del funzionarismo è che esso è una deviazione della
burocrazia: una burocrazia che non si riconosce più come potere servente,
ma in grado di soppiantare quello sovrano. È un’ “ipertrofia dell’ego”
burocratico, la macchina che si considera pilota, l’esecutore che si pensa
guida. Il vizio essenziale del funzionarismo è insomma quello descritto (e
ripetuto più volte) da Max Weber, di credere di poter sostituire la politica,
la classe politica e il politico con la burocrazia, come se una comunità umana
potesse essere guidata da un potere per sé “intermedio”(tra vertice e base), da
un aiutantato di servizio alla direzione politica e all’istituzione» (p. 117).
Pertanto,
come si suggerisce, l’unica risposta
possibile è di tipo politico. Va riscoperta la buona politica, fatta di decisioni, di senso della misura e
dell’opportunità, di naturale rispetto verso uomini e istituzioni. Obiettivi
non facili da perseguire, soprattutto nel loro insieme, dal momento
che le “congiunzioni” politiche, come quelle astrologiche, sono frutto di misteriosi equilibri
storici e non di formule precostituite.
E non tutti sono capaci di cogliere l’attimo (storico) fuggente…
Il
che ci porta al terzo piano
di lettura, quello del rapporto fra burocrazie funzionarie e decadenza dei
sistemi politici. Un filone
di ricerca, caro, e da sempre, a Klitsche la Grange. Qui la domanda è: se gli imperi crollano è colpa dello
strapotere di avidi funzionari? Ecco la
sua risposta: « Probabilmente non lo è sempre in assoluto, dato che
la storia ha visto stati “burocratici” avere una durata quasi (o ultra)
millenaria, come il Celeste Impero o l’Impero romano d’Oriente da Diocleziano
alla caduta di Costantinopoli».
Allora, assoluzione? No. Perché resta «da chiedersi se questo, invece,
possa succedere ove quella comunità, istituzione, formula politica abbiano
“perso l’anima”» (pp. 121-122).
Si
parla di “anima” ma alla fin fine si tratta sempre di politica. Come dare
un’ anima alle istituzioni? Può bastare la decisione politica? E di
chi? Del popolo? Di un assemblea legislativa? Del Presidente? Del
Principe? Della “Volontà Generale”?
Purtroppo,
il pur importante plebiscito quotidiano, per usare una celebre espressione,
vive e muore di routine.
Infatti, anche le grandi scelte epocali muoiono all'alba per annegamento: nelle
acque limacciose di un orario ferroviario, di un regolamento pensionistico, di
una richiesta di indennità, di una circolare ministeriale... Insomma, per farla
breve, la domanda sembra essere sempre lo stessa, e da secoli: sono gli uomini che fanno le istituzioni? O
sono queste ultime che fanno gli uomini?
D’altronde,
come i suoi lettori sanno bene, Klitsche de la Grange sembra
prediligere i finali aperti. Quindi Funzionarismo
non offre soluzioni belle e pronte. Ma, onestamente, alla domanda di cui
sopra, si può dare risposta? E per giunta definitiva? Crediamo di no.
Carlo Gambescia
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