venerdì 24 gennaio 2014

Eliade, Theilhard e 
il destino dell’anima umana






Ieri sera,  rileggendo,   il “Giornale”  di Mircea Eliade abbiamo scoperto una piccola perla…  
 21 maggio [1960]
Ciò che più mi ha impressionato nelle conversazioni con Teilhard è stata la sua risposta a una mia domanda: che cosa significasse per lui l’immortalità dell’anima. Difficilmente riassumibile. In poche parole: secondo T. de Ch.  Tutto ciò che può essere trasmesso e comunicato (amore, cultura, politica ecc.), non “passa nell’aldilà” ma scompare con la morte dell’individuo. Permane tuttavia un fondo irriducibile, incomunicabile, più precisamente ciò che è impossibile esprimere e comunicare, ed è questo fondo misterioso, incalcolabile che “passa al di là” e sopravvive dopo la scomparsa del corpo.  Teoria interessante perché sembra implicare che, se un giorno si arrivasse a trasmettere assolutamente tutte le esperienze umane, l’immortalità diverrebbe inutile e allora cesserebbe di essere.
(Mircea Eliade, Giornale, Boringhieri 1976, p. 251)

Eliade si riferisce a una conversazione del 1950 con Pierre Teilhard de Chardin  (1881-1955),  padre gesuita, scienziato e teologo  mai  amato dai tradizionalisti  per le sue posizioni controcorrente.        
Il breve passo suggerisce tre riflessioni.
La prima riflessione  riguarda l’idea teilhardiana  di un fondo incomunicabile, che appunto per questo, passerebbe nell’al di là.  Si pensi alle esperienze del dolore e della gioia. Sono comunicabili? Crediamo di no.  Perché, per quanto ci si immedesimi resta impossibile provare, anche con lo stesso contatto fisico,  le stesse sensazioni di dolore e di gioia  dell’altro.   
Seconda riflessione. Ora, ammettendo che  l’anima sia  un condensato individuale di esperienze incomunicabili come la gioia e il dolore, siamo davanti a esperienze interiori   collegate?  O separate?   E in relazione a che cosa? Al senso di peccato? Al senso di libertà?  Ovviamente la teologia cattolica e cristiana del peccato offre in materia riposte assai precise.  Ma per un non cattolico o per un non cristiano sono condivisibili? Per non parlare di un non credente…          
La terza riflessione, più profana, concerne Internet.  Approfondendo e aggiornando lo spunto di Eliade  si potrebbe  ritenere che  la Rete,  veicolando l’ illusione dell’ immediata comunicabilità di tutto a tutti,  possa rappresentare a tutti gli effetti  la morte e il funerale  dell’anima...  Per quale  ragione? Innanzitutto, come abbiamo accennato,  perché  si pretende di comunicare sentimenti incomunicabili come la gioia e il dolore.  E per giunta a distanza, in un contesto di pronunciata  separatezza fisica.   
Qui però si porrebbe  un’altra questione. Come spiegare l’umano  desiderio  di  voler comunicare a tutti i costi  l’incomunicabile?     

Carlo Gambescia 


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