Eliade, Theilhard e
il destino
dell’anima umana
Ieri sera, rileggendo,
il “Giornale” di Mircea Eliade
abbiamo scoperto una piccola perla…
21 maggio [1960]
Ciò
che più mi ha impressionato nelle conversazioni con Teilhard è stata la sua
risposta a una mia domanda: che cosa significasse per lui l’immortalità
dell’anima. Difficilmente riassumibile. In poche parole: secondo T. de Ch. Tutto ciò che può essere trasmesso e
comunicato (amore, cultura, politica ecc.), non “passa nell’aldilà” ma scompare
con la morte dell’individuo. Permane tuttavia un fondo irriducibile,
incomunicabile, più precisamente ciò che è impossibile esprimere e comunicare,
ed è questo fondo misterioso, incalcolabile che “passa al di là” e sopravvive
dopo la scomparsa del corpo. Teoria
interessante perché sembra implicare che, se un giorno si arrivasse a
trasmettere assolutamente tutte le esperienze umane, l’immortalità diverrebbe
inutile e allora cesserebbe di essere.
(Mircea
Eliade, Giornale, Boringhieri 1976,
p. 251)
Eliade
si riferisce a una conversazione del 1950 con Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), padre gesuita, scienziato e teologo mai amato dai tradizionalisti per le sue posizioni controcorrente.
Il
breve passo suggerisce tre riflessioni.
La
prima riflessione riguarda l’idea
teilhardiana di un fondo incomunicabile,
che appunto per questo, passerebbe nell’al di là. Si pensi alle esperienze del dolore e della
gioia. Sono comunicabili? Crediamo di no. Perché, per quanto ci si immedesimi resta
impossibile provare, anche con lo stesso contatto fisico, le stesse sensazioni di dolore e di gioia dell’altro.
Seconda
riflessione. Ora, ammettendo che l’anima
sia un condensato individuale di
esperienze incomunicabili come la gioia e il dolore, siamo davanti a esperienze
interiori collegate? O separate? E in
relazione a che cosa? Al senso di peccato? Al senso di libertà? Ovviamente la teologia cattolica e cristiana del peccato offre in materia riposte assai
precise. Ma per un non cattolico o per
un non cristiano sono condivisibili? Per non parlare di un non credente…
La
terza riflessione, più profana, concerne Internet. Approfondendo e aggiornando lo spunto di
Eliade si potrebbe ritenere che la
Rete , veicolando l’
illusione dell’ immediata comunicabilità di tutto a tutti, possa rappresentare a tutti gli effetti la morte
e il funerale dell’anima... Per quale ragione? Innanzitutto, come abbiamo accennato, perché si pretende di comunicare sentimenti incomunicabili
come la gioia e il dolore. E per giunta a distanza, in un contesto di pronunciata separatezza fisica.
Qui però si porrebbe un’altra questione. Come spiegare l’umano desiderio
di voler comunicare a tutti i
costi l’incomunicabile?
Carlo Gambescia
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