giovedì 16 gennaio 2014

Il libro della settimana: Giovanni Sartori, Ingegneria costituzionale comparata,  il Mulino 2013, pp. 244, euro 14,00 – http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=24678 .





Ottima l’idea di ripubblicare in paperback  Ingegneria costituzionale comparata (il Mulino) di Giovanni Sartori: il volume rappresenta un autentico concentrato di sapienza politologica.  Parliamo di  un lavoro  « svelto», per usare le parole dell’autore, scritto  seguendo il filo  di quel “realismo democratico” (realismo cognitivo più empirismo e pragmatismo) che sembra brillantemente segnare il pensiero di Sartori:  uno studioso  che può  permettersi di dare del tu a Pareto, Mosca, Michels.  E al tempo stesso, di  andare oltre  la “sacra triade” appena ricordata. E per una ragione semplicissima: per l’apprezzamento  della  democrazia liberale,  quale orizzonte da cui, giustamente,  è assai pericoloso fuoriuscire. Pareto non fece in tempo. Mosca avvertì, anche in se in ritardo il pericolo,  Michels invece deragliò.     
Qui va subito  fatta un’osservazione.   Il nostro augurio è che Ingegneria costituzionale  – questa volta –  non si limiti   ad «accompagnare» il dibattito politico sulle riforme istituzionali, come si legge, nell’Avvertenza.  Infatti, speriamo con tutto il cuore che la proposta di Sartori   per un sistema elettorale maggioritario fondato sul doppio turno di collegio, capace di ridurre numero dei partiti,   e  su correttivi semipresidenziali in grado di garantire governi efficienti,  sia finalmente recepita dai politici.   E in tale  direzione interattiva  sembra andare  l’ appello dell’ ottobre scorso di Sartori e Ignazi sottoscritto da cento politologi italiani (http://espresso.repubblica.it/palazzo/2013/10/28/news/legge-elettorale-l-appello-di-sartori-e-ignazi-1.139325 ).  Il che però apre il triste  capitolo  sul  rapporto  fra professori e politici Dei professori di Berlusconi, sappiamo tutti che fine hanno fatto… In realtà,  anche degli studiosi  vicini alla sinistra più riformista si sono perdute le tracce.  Quanto all’ ultima  commissione riformatrice, frutto delle “larghe intese”, presieduta dal professor Quagliariello,  è meglio stendere un velo pietoso. Infine, per tornare alla lectio sartoriana,  sia il “Mattarellum” che il “Porcellum” (così ribattezzato dallo stesso professore), sembrano concepiti per far  dispetto alla scienza dello studioso fiorentino e in barba  agli italiani che, da vent’anni,  continuano a votare in un  modo per  essere governati in un altro. Ora, in questi  giorni il dibattito è  ripartito.   Pare tuttavia che la bilancia  dei  rapporti di forza tra politici e professori continui a pendere dal lato dei politici… Sartori, non sarà d’accordo, ma provare con un viaggio a Lourdes dei cento sottoscrittori?     
Veniamo a Ingegneria costituzionale, di cui ci interessa illustrare  la ratio.   Il volume, scritto nel 1994 per il pubblico di lingua inglese si articola il tre parti: I. Sistemi elettorali; II. Presidenzialismo e parlamentarismo; III. Temi e proposte. Ed è completato da una breve appendice che risale al 2004.
Lo spirito  -   la ratio per l’appunto -  che unisce logicamente  le varie parti è  rappresentato  dalla  valutazione comparata in termini di resa dei vari sistemi. L’ingegneria costituzionale è tale perché studia le costituzioni come macchine e meccanismi che devono funzionare in base a strutture fondate su incentivi e castighi. Un approccio  che i politici tendono ad eludere, preferendo spesso incentivare se stessi e la propria parte  e  castigare, dopo averli illusi,  cittadini e  avversari. Di qui, un osservazione sartoriana,  a nostro avviso fondamentale: che anche la macchina costituzionale più perfetta deve  fare i  conti con le tradizioni politiche, storiche e sociali preesistenti: perciò  il bipartitismo, incoraggiato elettoralmente puntando sul maggioritario, in una nazione  distinta  dal particolarismo ideologico, etnico, eccetera, non darà mai buoni risultati, dal momento che i partiti tenderanno  a riflettere, anche all’interno, le numerose divisioni esistenti.  Per contro il pluripartitismo, favorito in chiave proporzionalista,  in assenza del particolarismo sociale, ideologico e politico, rimane  perfettamente inutile  o rischia di incoraggiare divisioni in precedenza inesistenti, magari di tipo partitocratico e lobbistico.
Inoltre,  il presidenzialismo funziona meglio, o meno peggio, dove c’è un interesse, per ragioni storiche, culturali, eccetera,  a farlo funzionare, come negli Stati Uniti,  altrimenti rischia di  produrre autoritarismi, come in America Latina.  Ciò  non significa che il parlamentarismo sia migliore, dal momento che per funzionare richiede partiti disciplinati, altrimenti  si rischia l’anarcoide trasformismo parlamentare.  
Perciò  non esistono ricette magiche o  riposte  definitive.  In effetti, i principali avversari di Sartori sono i  perfettisti,  i «primitivismi democratici»,  i costruttivisti: tutti coloro che credono  basti mettere  nero su bianco  una riforma, una legge, un comando per  cambiare le cose . «La democrazia  - osserva il politologo -  non può  essere semplicemente  potere del popolo, giacché  “potere del popolo” è solo una abbreviazione di “potere del popolo sul popolo”. Il potere è una relazione, e avere potere implica che qualcuno controlla (in qualche modo o misura) qualcun altro. Inoltre, un potere reale è un potere che viene esercitato. Ma come può un intero popolo - composto da decine o anche centinaia di milioni di persone - esercitare potere su stesso? A questo quesito nessuno sa dare un risposta semplice» (p. 157). 
Da ciò discende l’ importanza, come forma istituzionale intermedia,  della democrazia rappresentativa, in cui «il demos non decide in proprio le questioni, le issues, ma si limita  a decidere (scegliere) chi le deciderà».  Il che si chiede Sartori, può sembrare  «troppo poco»…  In realtà, prosegue, «per ottenere  di più  occorre  che ogni incremento di demo-potere sia sostenuto da un incremento  di demo-sapere di informazione e conoscenza. Altrimenti la democrazia diventa un “direttismo”  gestito da incompetenti, da chi-non-sa-nulla-di-nulla, e quindi un sistema di governo si suicida» (p. 231).   Ma come accrescere collettivamente un  sapere la cui banalizzazione e direttamente proporzionale al numero di coloro a cui si rivolge.   Di qui, la sua convinzione circa la necessità di accettare la democrazia rappresentativa come migliore dei mondi possibili.    
A dire il vero, Sartori ne ha per tutti.  In particolare,   per la «grafomania costituzionale».  Con  tale  termine lo studioso si riferisce alle costituzioni lunghe o  «aspirative» (come raccolte di pure “aspirazioni”),  dove le altisonanti promesse di riforma sociale contrastano con l’idea di castighi e premi reali, difesa da Sartori.  Infatti,  proclamare costituzionalmente che gli uomini hanno diritto a questo e  quello, pur essendo giusto in linea di principio,  significa aprire  la porta  alle richieste più strane,  talvolta assurde,  economicamente insostenibili, come nel caso dei diritti sociali a pioggia.   Per contro una costituzione capace di  recepire  il principio (astratto e generale) che ogni legge, anche in tema di qualificazione dei diritti,  deve  rinviare a  precisi vincoli antideficit  di  bilancio,   resta un  buon  esempio   di   sistema  fondato, anche in linea di fatto,  su  castighi e premi: non  c’è più  alcun  diritto soggettivo assoluto,  bensì un  diritto oggettivo che tempera o  frena  la costosa  rincorsa  ai  diritti soggettivi.         
«Le costituzioni – nota Sartori -   sono “forme” che strutturano e disciplinano i processi di formazione delle decisioni statuali. Le costituzioni stabiliscono come debbano essere create le norme; non decidono, né debbono decidere che cosa debba essere stabilito dalle norme. Il che vuol dire che le costituzioni sono, prima di tutto, procedure mirate ad assicurare un esercizio controllato del potere. Pertanto, e viceversa, le costituzioni  sono e devono essere neutrali in sedi di contenuti (content neutral). Una costituzione che avoca a sé le determinazioni  politiche, e cioè dei contenuti della politica, si  sostituisce indebitamente alla volontà popolare e agli organi (parlamenti e governi) ai quali le decisioni politiche sono costituzionalmente affidate » (p. 216). 
Di qui, spesso, il  «sovraccarico delle “capacità costituzionali” che porta alla incapacità di funzionare». Cosicché «   se gli estensori di costituzioni non sanno resistere alla tentazione di ostentare i loro nobili intenti, questi dovrebbero essere  collocati un Preambolo “programmatico”. Dopodiché i costituenti  sono tenuti ad occuparsi seriamente di ciò  che seriamente dovrebbero fare: elaborare uno schema di governo, che tra l’altro, soddisfi le esigenze di governabilità» (p. 217).
Serve altro? Crediamo proprio di no.


Carlo Gambescia                      

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