La domanda non è tra quelle che spingono a leggere un post… Ma noi ci
proviamo lo stesso: la democrazia può essere insegnata e quindi imparata da
cittadini-studenti? Non è facile rispondere. Si può dire, semplificando al
massimo, che a differenza degli antichi, che preferivano studiare la democrazia
e le sue degenerazioni, i moderni hanno preteso, da subito, senza troppi
approfondimenti, di insegnare la propria a tutti cittadini, come la migliore e
l’unica. Un esempio del primo tipo è dato dall’opera politica di Aristotele.
Mentre del secondo, dal pesante pedagogismo liberal di Dewey, uno dei padri del
pragmatismo filosofico americano.
Quanto all’Italia, si pensi a certa pedagogia politica
democratico-risorgimentale, non sempre di buona lega. Il che non significa che
tra i moderni siano mancate figure dedite allo studio della democrazia. Ne
citiamo solo uno, croce e delizia, di generazioni di studenti di storia delle
dottrine politiche: Charles-Louis De Secondat, Barone di Montesquieu. Un
pensatore affascinato dallo studio della “natura” e del “principio dei
Governi”, spesso malamente assimilato, proprio dagli studenti …Non desideriamo
però annoiare il lettore con spocchiosi rimandi e citazioni o con un generico
invito a potenziare lo studio dell’Educazione civica a scuola. Prima di tutto,
infatti, rimane un problema di mentalità democratica da risolvere. Perciò
facciamo subito un esempio. Ecco, si prenda, il libro di Gustavo Zagrebelsky, Imparare democrazia (Einaudi), scritto
appunto da un giurista, vero nume tutelare, ideologicamente parlando, del
“Partito” rappresentato dal quotidiano la Repubblica , alle cui pagine, come si usa dire,
laiche, democratiche e antifasciste, il professore attivamente collabora.
Zagrebelsky può essere definito un “moderno”, perché interessato alla pedagogia
della democrazia. Però ne parla, senza dare alcuna preventiva definizione del
politico in senso puro, schmittiano. Insomma, senza il necessario riferimento
all’ astoricità e universalità - pardon, per i paroloni - delle tre categorie
di individuazione del nemico, decisione e conflitto. Il che, purtroppo, non
facilita lo sviluppo di una pedagogia democratica né di una matura teoria della
democrazia, né di una mentalità sinceramente democratica. Certamente,
Zagrebelsky, forse proprio perché giurista, ha una visione nobile della democrazia
come idea regolativa, fondata sull’ uguaglianza e sull’ espansione dei diritti.
E soprattutto, come missione che riguarda da vicino ogni cittadino
responsabile. Di qui, a suo avviso, l’importanza di una pedagogia democratica,
tra uguali, basata sull’esempio e sulla diffusione di una comune consapevolezza
civica e civile: la « sua ricompensa [dell’ideale democratico] sta nello stesso
agire per realizzarlo», così scrive, lapidario.
Tuttavia l’ analisi di Zagrebelsky, resta sospesa tra la norma (come deve
essere la democrazia) e la descrizione dei fatti (com’è in realtà). Non c’è
ponte tra i due aspetti, come del resto tuttora mostrano tanti manuali
scolastici di Educazione civica, vuoti e retorici. Per quale ragione? Perché
l’impianto normativo-pedagogico del suo pensiero non può consentirlo. Ad
esempio, si pensi all’accento posto da Zagrebelsky sull’importanza ideale del
dialogo tra eguali in democrazia, come fattore pedagogico per eccellenza. Il
che è vero in teoria, ma non sempre in pratica. Esistono, infatti, all’interno
della nostra stessa cultura politica sostenitori di altre forme di democrazia:
socialista, locale, diretta, federale, eccetera. I quali hanno idee
profondamente diverse dell’eguaglianza: economica, sostanziale, territoriale,
eccetera. Vanno insegnate anche queste ultime, soprattutto a scuola, oppure no?
Inoltre, si pensi alle questioni ecologiche, sulle quali spesso le popolazioni
locali insorgono in nome di interessi particolari. Sono anche queste forme di
democrazia degli uguali, oppure no? Per non parlare del conflitto in atto fra
le democrazie occidentali e fondamentalismi religiosi. I quali si appellano, a
loro volta, a un’idea di democrazia “comunitarista”, totalmente differente, o
comunque non uguale alla nostra…
A queste domande Zagrebelsky non risponde… Salvo porre l’accento sulla bontà
assoluta dei valori occidentali, quale base minima (ed egualitaria…) per
stabilire un proficuo dialogo universale. Il che è veramente paradossale.
Perché si tratta di valori-base non condivisi da tutti. Ecco allora - se ci si
passa la rozza metafora - rientrare dalla finestra, il conflitto, in
precedenza, fatto uscire dalla porta principale. Che ne facciamo, professor
Zagrebelsky dei cattivi studenti in democrazia occidentale? Li convertiamo, “dialogando”
a suon di bombe e missili?
Ricapitolando, si può insegnare ( e quindi imparare) la democrazia? Sì, ma con
giudizio. E in che modo? Confidando nell’idea che quella che si sceglierà di
insegnare (e quindi imparare), sarà sempre una, tra le tanti forme esistenti di
democrazia, e non l’unica o la definitiva. La democrazia, in ultima istanza, è
dialogo tra diversi, mai tra uguali.
Carlo Gambescia
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