giovedì 30 giugno 2011


Il libro della settimana: Valter Binaghi e Giulio Mozzi, 10 buoni motivi per essere cattolici, pref. di Tullio Avoledo, Laurana Editore 2011, pp. 140, Euro 11,90, 

http://www.laurana.it/


Werner Sombart ne Il socialismo tedesco, raccolse 187 «denominazioni» del termine socialismo. Si andava da «socialismo sociale » a «socialismo centralista », per cinque pagine di fila. Probabilmente per catalogare le definizioni di cristianesimo, religione bimillenaria, non basterebbero libri su libri… Per questa ragione non ci convince il tentativo di Valter Binaghi e Giulio Mozzi di produrre l’ennesimo libro in argomento: 10 buoni motivi per essere cattolici, (pref. di Tullio Avoledo, Laurana Editore 2011, pp. 140, euro 11,90 - http://www.laurana.it/). Ci spieghiamo subito.
L’idea dei «buoni motivi» implica una visione del cattolicesimo, di qui l’interpretazione o definizione: l’ennesima appunto. E di che si tratta? Binaghi e Mozzi, tifano per un «cristianesimo-cattolicesimo» dell’amore. Se si vuole, delle emozioni, poco sociologico, molto immaginario o immaginato… Ora, qualche pezza d’appoggio al nostro discorso.
La religione «cristiana cattolica (…) è, prima di tutto, una narrazione: un insieme, un coacervo di narrazioni. È una storia d’amore difficile e contrastata - come tutte le storie d’amore - tra un creatore e le sue creature» ( Binaghi e Mozzi, p. 25). Un creatore, «tanto innamorato da farsi ammazzare nel più umiliante dei modi – appeso a una croce, trafitti i polsi e i polpacci, ad agonizzare per ore – per dare prova del proprio innamoramento» (Mozzi, p. 46). Perciò, ecco il punto, trattandosi di una religione « fondata sul comandamento dell’amore, la Chiesa è caduta, secondo Ivan Illich, nella più pericolosa delle tentazioni: quella di voler “controllare – fino a regolamentarlo – questo nuovo tipo d’amore. Di creare un’istituzione che lo garantisca, lo assicuri, lo protegga, criminalizzando il suo opposto”. Corruptio optimi pessima. Ignorando ciò che Gesù disse davanti al suo giudice (“Il mio Regno non è di questo mondo”), la Chiesa ha fatto non solo di se stessa un’istituzione selettiva e conservatrice, ma su quel modello sono anche sorte le istituzioni secolari oppressive che l’occidente ha prodotto via, e che svelano la modernità non come l’antitesi ma come la perversione del cristianesimo» (Binaghi, p. 51). Per inciso, l’amico Alain de Benoist, a proposito del rapporto cristianesimo-modernità, dice più o meno le stesse cose. Ma lui non è cristiano…
Su queste basi, alquanto fragili sul piano della reale comprensione del funzionamento delle istituzioni sociali (che, attenzione, sono sempre selettive, gerarchiche e conservatrici, a prescindere dal credo…), vengono poi declinati i buoni motivi per essere cattolici. Motivi che possono essere più meno buoni, ma che risentono di un vizio d’origine: quello dell’assiomatizzazione del Dio dell’amore. Tesi, nessuno lo nega, che ha un fondamento teologico nel Nuovo Testamento. Ma che purtroppo non ne ha uno di tipo sociologico. Il che determina, nell’argomentazione di Binaghi e Mozzi, il mancato raccordo tra dover essere (il Comandamento dell’amore) e l’essere (il necessario funzionamento dell’istituzione-Chiesa, per forza di cose “sociologiche”, sempre selettiva, gerarchica, e conservatrice…). Una frattura che Mozzi e Binaghi, cercano di colmare puntando sul ruolo del profetismo, come punta dell’iceberg movimentista, nel nome, semplificando, di una specie di trotzkismo cristiano, all’insegna delle rivoluzione permanente: «Il profeta è dunque colui per il quale in qualsiasi momento, un atto di libertà è possibile. O, se preferite, è colui per il quale in qualsiasi momento un atto di speranza è possibile: il nesso tra speranza e libertà mi pare evidente. Qui, nella percezione che un atto di libertà e un atto di speranza sono possibili, nascono i gesti di coraggio. Nascono i grandi amori. Nascono le grandi intuizioni cognitive. Nascono le idee che guidano i popoli. Nascono le accettazioni estreme, come quella di Maria. Nascono i rifiuti estremi, come quelli dei martiri (da Stefano a Jan Palach). Eccetera» (Mozzi, p, 119). Perciò « anche la Chiesa, come ogni comunità, ha bisogno di essere rinnovata nello Spirito, e dunque non può fare a meno del profeta. Dagli Atti degli apostoli apprendiamo che ogni comunità cristiana delle origini ne aveva uno. Ivan Illich direbbe che ha maggior ragione ne ha bisogno, perché chi custodisce il dono più grande corre il più grande rischio: quello di organizzare una cinta muraria a difesa di quel dono anziché diffonderlo presso le genti, o di farne il fondamento e la giustificazione di un potere, pervertendone totalmente il significato» (Binaghi, p.127).
Che Mozzi e Binaghi, pensino a se stessi come nuovi profeti? Mah… sospendiamo il giudizio. Tuttavia, questo modo trotzkista (il movimento è tutto, l’istituzione nulla) di intendere il «cristianesimo-cattolico» è molto pericoloso. Perché rischia per un verso di distruggere un equilibrio bimillenario, frutto di necessari compromessi (perché sociologici) tra istituzioni e movimenti, mentre per l’altro di impoverire quella cultura della mediazione che, piaccia o meno, è necessaria a una Chiesa che pur non essendo del mondo deve comunque parlare al mondo. O no?
Quanto al Dio dell’amore, non essendo santi, profeti, mistici, teologi non abbiamo le carte in regola per pronunciarci. Con onestà, ammettiamo però di non avere tanta simpatia neppure per il Dio del Vecchio Testamento.
Di una cosa invece siamo più certi: l’uomo non è amore né odio allo stato puro. E i preti sono uomini come tutti gli altri (dal Papa all’ultimo parroco). Di qui, tre raccomandazioni ai cattolici (massì, ci buttiamo pure noi…): realismo, nel giudicare come spesso vanno, o meglio non vanno, le istituzioni della Chiesa; massima osservanza, per quanto umanamente possibile, del Decalogo; fede assoluta, dopo aver chiuso e riposto i manuali di sociologia, nella Provvidenza divina. Non è molto, ma può aiutare… Anzi, aiuta e da duemila anni.


Carlo Gambescia

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