Il libro della settimana: Alain
Finkielkraut, Un cuore intelligente, Adelphi, 2011, pp.
212, Euro 20,00.
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Alain Finkielkraut è un riccio o una volpe?
Ecco quel che pensavamo leggendo l’ultima sua fatica, ora tradotta in italiano:
Un cuore intelligente
(Adelphi, 2011, pp. 212, euro 20,00). Come è noto, si tratta di una
classificazione, introdotta da Isaiah Berlin ma ripresa da Archiloco: «Molte
cose sa la volpe, il riccio una sola, ma grande». O detto altrimenti: la volpe,
nonostante tutte le sue astuzie, viene sconfitta dall’ unica arma del riccio:
gli aculei…
Secondo Berlin, sarebbe un criterio che fissa le differenze tra scrittori e
pensatori (oltre che fra gli essere umani). Da un lato, quelli che adorano
l’idea unica, cui rinviare qualsiasi ragionamento e giudizio ( i ricci), dall’altra
chi persegue molti fini, non collegati spesso contraddittori, privi di
qualsiasi riferimento a un principio (le volpi). Ad esempio Dante,
apparterrebbe alla prima categoria, Shakespeare alla seconda. Platone,
Lucrezio, Pascal, Hegel, Dostoevskij, Nietzsche, Ibsen, Proust sarebbero in
varia misura ricci. Mentre Erodoto, Aristotele, Montaigne, Erasmo, Moliére,
Goethe, Pushkin, Balzac, Joyce, purissime volpi.
Ripetiamo allora la domanda? Alain Finkielkraut è un riccio o una volpe?
Crediamo sia un riccio che vuole però presentarsi come volpe. Il che può essere
un complimento, visto che Berlin definisce in modo analogo Tolstoj…
Cosa dice Finkielkraut? Apparentemente tante cose. Perché il suo testo sembra
ricordare le pasoliniane descrizioni di descrizioni. Insomma, abbiamo tra le
mani un libro costruito su altri libri (nove, per l’esattezza): Lo scherzo
di Kundera, Tutto scorre...
di Grossman, Storia di un tedesco
di Haffner, Il primo uomo di
Camus, La macchia umana di
Roth, Lord Jim di Conrad, Ricordi dal sottosuolo di Dostoevskij, Washington Square di Henry James, Il pranzo di Babette di Karen Blixen .
Tutti testi di cui Finkielkraut fornisce una lettura avvincente e ricca di
sfumature, ma… solo in apparenza. Perché ad ogni pagina torna e ritorna l’idea unica
che avvolge, quasi fino a soffocarlo, Un
cuore intelligente. Quale? Che la letteratura sia la
«giurisprudenza» della vita… Non abbiamo sottomano il testo francese. Ma
considerando la qualità delle traduzioni Adelphi, diamo per scontato il
significato italiano del termine ( certo, sotto metafora): quel complesso di
principi, leggi e istituti che regola la vita umana. Che però, se abbiamo
capito bene, consiste nel produrre e consumare storie senza interruzione.
Allora, il movimento è tutto il fine niente? Proprio così. «Essere uomo -
scrive Finkielkraut - è affidare il proprio destino alla letteratura perché gli
dia forma. Tutto sta nel sapere a quale» (p. 212).
Pertanto il libro poggia su una grundnorm,
che giustifica se stessa come generatrice di perpetuo movimento. Ars gratia artis? Forse. Dal momento
che l’idea proposta è quella di una letteratura, in perenne moto, il cui unico
compito (o forma?) sia di «sostituire il regno delle antinomie con quello della
sfumatura» (p.193).
Di qui, un susseguirsi di passi suggestivi, come ad esempio, quello su
Grossman: «il Male è nello slancio stesso, nel fatto di localizzare il Male,
attribuirgli nome e indirizzo e dedicarsi con foga redentrice al suo
annientamento» (p. 47). Dove però si espone null’altro che l’ennesima, seppure
condivisibile, condanna del perfettismo rivoluzionario. Alla quale Finkielkraut
accosta a scopo profilattico il quieto e sfumato perfettismo,
post-rivoluzionario e culinario, di Babette, ex comunarda, approdata dalla
Parigi barricadiera al sonnacchioso tran tran domestico: «Alla fine del
racconto Karen Blixen attribuisce all’arte il merito di aver ristabilito
l’armonia» (p.209). Infatti «Babette ha combattuto armi in pugno per
l’uguaglianza. In quanto artista, ha celebrato e difeso la differenza, La
pétroleuse ha dato fuoco ai lussuosi locali della clientela altolocata, ma era
in uno di questi locali che la cuoca magnifica esprimeva il suo talento. Queste
due identità le erano ugualmente care» (p. 208).
Tutto qui? Quale può essere il senso riposto del sostituire la tirannia dei
valori con la tirannia delle sfumature e delle doppie (ma sicuramente anche
triplici, quadruple, ecc.) identità ? Celebrare il banchetto dell’ esistente.
Non che ci sia nulla di male. Ma le sfumature catturate dalla Volpe, rinviano
all’unica arma, quella vincente del Riccio: la circolarità dell’esistenza… Una
risposta-non riposta, quella del tutto torna (anche utile), che in realtà
rinvia il Riccio-Finkielkraut (o finta volpe), all’universo del Principe di
Salina: « Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi».
Del resto, se come scrive Finkielkraut, la letteratura è «giurisprudenza»,
quest’ultima, si sa, è conservatrice per eccellenza… Ora, il culto della
rivoluzione per la rivoluzione è pericoloso. Ma non lo è meno di quello per una
letteratura ripiegata su se stessa e rivolta a scrutare e chiosare, sfumatura
dopo sfumatura, le pandette dell’esistente.
Carlo Gambescia
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