lunedì 27 giugno 2011

Società di rating
C’è Moody’s e maniera…





E ti pareva. Adesso Moody’s ha messo sotto osservazione il rating di sedici banche dello Stivale. Perciò, si prepara un possibile taglio in linea con quello già adottato verso l’ Italia. Insomma, per queste società, pubblico e privato, stato e individui sono la stessa cosa. E per giunta si tratta di consulenze ben pagate, richieste dagli stessi soggetti che devono essere valutati. Detto brutalmente: cornuti e mazziati.
Ripassino storico-semantico. Il termine “rating” deriva dall’inglese “to rate” (giudicare, valutare). Il concetto si riferisce a una valutazione di tipo qualitativo; semplificando al massimo: se un soggetto economico sia o meno solvibile.
Attualmente, il rating è controllato da due operatori mondiali: Moody’s Investor Service (Moody’s) e Standard and Poor's Rating (S&P). Non va però dimenticato un terzo operatore, più piccolo: l’agenzia Fitch IBCA (Fitch), di proprietà francese, fondata nel 1924, quasi un due picche…
Standard and Poor’s iniziò la sua attività nel 1860, quando il fondatore Henry V. Poor propose agli investitori statunitensi un’analisi di affidabilità e qualità del credito dei progetti riguardanti l’edificazione di canali e ferrovie. Nel 1909, anno primo della presidenza del repubblicano Taft, nacque Moody’s Investor Service che cominciò a valutare i titoli del governo federale, trattandoli alla stregua di quelli emessi da qualsiasi privato: un fatto, soprattutto concettualmente, fondamentale. Si trattò della madre di tutte le privatizzazioni, comprese quelle di tanti nipotini venuti dopo, come la signora Thatcher e il presidente Reagan. E così Moody’s e S&P, guardarono per svariati decenni solo al ricco mercato statunitense.
Stando a uno studioso della materia, «il mercato del rating, conobbe un primo periodo di espansione tra il 1909 ed il 1930. Negli anni ’40, ’50 e ’60 le agenzie dovettero fronteggiare una domanda debole a causa di un ambiente caratterizzato da una bassa volatilità, un’economia sana e ben pochi fallimenti da parte delle aziende». Per contro, a partire «a partire dagli anni ’70 si è assistito ad un periodo di rapida crescita che dura fino ad oggi».
Gli esperti però non ci dicono che, dopo il 1945, l’approccio americano al mercato dei capitali fu imposto, al resto del mondo occidentale, per ragioni militari, di spada… Inoltre, a partire dalla fine degli anni Settanta, grazie alla vittoria mondiale delle tesi neoliberiste e al crollo politico, nella parte orientale, del nemico sovietico, la regolamentazione basata sui rating dilagherà in tutti i paesi, sviluppati e non, Unione sovietica inclusa.
Tuttavia le società di rating, come ogni altro attore economico, non possono non subire il peso di giganteschi conflitti di interesse. Dal momento che il mercato puro, buono e bello, esiste solo nei libri si testo di economia. Ad esempio, si pensi al fallimento di grandi società come Enron, WorldCom, Parmalat. Come mai, e parliamo di fatti avvenuti qualche anno fa, nonostante i prezzi delle loro azioni fossero in calo, o comunque soggetti a fluttuazioni anomale, le agenzie di rating si guardarono bene dal riformulare per tempo le proprie valutazioni favorevoli?
Alcuni esperti confidano tuttora nel Nuovo Accordo “Basilea 2” sui requisiti patrimoniali della banche. Accordo, entrato in vigore nel 2007, che consente alle banche di scegliere - stiamo semplificando - tra rating interno ed esterno, affidato appunto alle società di rating. C’è però un problema. Sembra infatti che i mercati continuino a confidare nelle valutazioni esterne alle imprese. Il che, in linea di principio, sarebbe pure giusto. Ma chi controlla i controllori?

Carlo Gambescia

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