Pacifismo
referendario
Al vuoto, al vuoto...
Domenica (e lunedì) non andremo
a votare. Del resto la legge lo consente. E neppure ci sfiorano le critiche,
già nell’aria, per il possibile non conseguimento del quorum a causa di “disertori” come noi
("disertore", il lettore prenda subito nota del termine...). Come non
ci tocca la compagnia del Cavaliere o di quei ministri pidiellini che non
andranno a votare perché, come si legge, “ si tratta di un voto contro il
Governo". E per una ragione molto semplice: perché la nostra scelta non è
contro né a favore del Governo... E allora che cos'è ? Diciamo che è un
"non voto" di protesta contro gli isterismi di tutti i tipi:
governativi, antigovernativi, nuclearisti, antinuclearisti, liberalizzatori,
antiliberalizzatori, giustizialisti , antigiustizialisti. I lettori sanno quanto
disistimiamo l’antismo. E il referendum è lo strumento antista per eccellenza:
pro o contro, senza sfumature e ragionamenti. Di conseguenza non ne abbiamo mai
capito il senso istituzionale, né gradito il sottile potere di disorganizzare i
rapporti politici tra cittadini, infiammandoli oltre il lecito.
Del resto Hannah Arendt non ha scritto che la politica, in quanto basata sul
contrasto tra diversi, è in parte uno sforzo per organizzare “a priori gli
assolutamente diversi in vista di uguaglianza relativa, e per distinguerli dai relativamente diversi”?
Ecco il referendum, se seguiamo il filo del ragionamento arendtiano, pone gli
uni contro gli altri armati e per giunta in nome di una assoluta (o perfetta)
diversità, ideologicamente inconciliabile, e quindi non organizzabile a priori
attraverso un pacato ragionamento istituzionale sul bene comune (ovviamente,
"bene" non perfetto, come invece pretendono i referendari antisti, ma
sempre relativo e imperfetto...). Ma il sale del Politico non è il conflitto
amico-nemico? Certo, però proprio perché (per fortuna) viviamo in una
democrazia liberale, fatta di regole e procedure, ci si può sottrarre
singolarmente, salvo pagarne, se ci saranno, le possibili conseguenze, anche
negative, e non solo sul piano individuale... Ma è così: la vita è rischio,
scommessa, incrociarsi pericoloso e talvolta perverso di individuale e
collettivo, quindi imperfetta... In questo senso il conflitto esiste: è nelle
cose. Certo, può essere addomesticato, ma non soppresso. Addomesticato, in nome
dell'arendtiana organizzazione delle diversità. Di sicuro, lo scontro
referendario resta preferibile alla guerra civile e alla guerra tout court. Ma attenzione: la
differenza, tra “battaglia referendaria” e “battaglie vere" resta sempre
di grado non di specie. E in guerra, come per i referendum, non c’è tempo per
le sfumature: si vince o si perde. Però si può disertare. Diciamo perciò, per
rimanere in metafora, che il nostro è un pacifismo referendario.
Carlo Gambescia
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