Il risparmio degli italiani e
il “ciclo della sfiga”
A metterla sul tenero si potrebbe dire che gli italiani non si comportano più
da giudiziose formichine. Infatti, una recente indagine dell’Ufficio Studi
della Confcommercio( http://www.confcommercio.it/home/ArchivioGi/2011/-Viaggio--nel-risparmio-delle-famiglie-dal-1990-ad-oggi.htm_cvt.htm ) , sulla quale non si è però
riflettuto abbastanza, ha rilevato che nel 2010 le famiglie italiane hanno
risparmiato, di media, solo millesettecento euro rispetto ai quattromila (in
termini reali) del 1990. Se prima, su ogni cento euro se ne mettevano via
ventitré, oggi si è scesi a dieci. Inoltre, altro dato preoccupante, un
italiano su tre non riesce ad accantonare un solo euro.
Magari, ci siamo trasformati in cicale? No. Perché i dati evidenziano che nello
stesso periodo il reddito procapite (ai prezzi del 2010) è rimasto tale e
quale: intorno ai diciassettemila euro. Di conseguenza, quando c’è poco da
scialare, prima si tappano buchi “aperti” in passato (mutui e rate varie), poi,
per il futuro, si vedrà.. Ma soprattutto si finisce per consumare poco, come
appunto mostrano le statistiche.
Non c’è di che stare allegri, perché la ripresa economica sembra lontana mentre
l’aggiustamento di bilancio vicino, stando almeno alle ultime della politica.
Ma perché si risparmia di meno? Il dato di fondo è psicologico. E riflette la
lunga transizione politica che l’Italia sta attraversando da vent’anni. Una
“traversata” che sembra non finire mai. Ci spieghiamo meglio. Mentre gli anni
Ottanta furono gli anni da bere, quelli dell’euforia, dei redditi che
crescevano insieme ai consumi, con un risparmio che teneva abbastanza, il
successivo ventennio, apertosi con Tangentopoli, è stato vissuto dagli italiani
all’insegna di una marcia nel deserto, dove, come si sa, di acqua potabile… A
parte gli improvvisi miraggi, come ad esempio le promesse politiche non
mantenute… E si badi bene, a Destra come a Sinistra.
Ovviamente i due dati (psicologico ed economico) si sono sostenuti e rafforzati
a vicenda, fino a dar vita a un mix, se ci si passa l’espressione, della
“sfiga”: se la sfiducia è diffusa e il reddito non cresce, non si consuma ma
neppure si risparmia. Magari si tappano i buchi, finché possibile,
assottigliando man mano i risparmi residui.
C’è infine un dato sociologico, evidenziato dallo storico Valerio Castronovo,
il quale in un ottimo articolo sul Sole ( http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-05-09/borghesia-rischio-estinzione-063752.shtml?uuid=AaX2QVVD ) ha osservato che i dati di cui sopra «sono tanto più preoccupanti se si
considera che la propensione al risparmio è sempre stata una delle attitudini
preminenti del ceto medio e uno dei principali fattori della sua stabilità sul
piano sociale ». Problema non da poco. Perché, secondo una tesi che risale
addirittura al buon Aristotele, la crisi del ceto medio implica regolarmente
quella del sistema. Detto altrimenti: qui è a rischio la spina dorsale del
Paese.
Possibile che non si capisca che gli italiani, per tornare a risparmiare e
consumare in modo equilibrato, prima che di investimenti e di giusti incrementi
di reddito, hanno bisogno di certezze politiche?
Carlo Gambescia
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