Politicamente
corretto?
Quasi un elogio
Fare il gesto del dito medio verso chi non
la pensi come noi è politicamente scorretto? Sottoscrivere ogni dichiarazione
di un nostro beniamino ideologico, levando il pollice è politicamente corretto?
Ovviamente, sono gesti che costituiscono il livello minimo delle relazioni
politiche e sociali. Insomma, la questione è un pochino più complessa.
Prendiamola da lontano.
In realtà, una società su che si fonda? Ma sulla reiterazione dei
comportamenti, of course. Su ciò che si può dire e fare e su ciò che non si può
dire e fare, perché ogni società è un insieme di regole. Di più: ogni gruppo
umano che desideri durare, deve favorire schemi di comportamento prevedibili e
reiterabili sulla base di regole precise. Detto altrimenti: sulla ripetizione
dei comportamenti giusti, ossia sul politicamente corretto.
Piaccia o meno, ma le istituzioni sociali, sono conformiste per Dna, altrimenti
vivremmo tuttora isolati in caverne. Semplificando: la regola sociale di base
non è l’innovazione ma la conservazione. Per contro - va riconosciuto - il vero
“miracolo” (sociale) dei moderni è l’ aver tentato, in parte riuscendovi, di
edificare una società basata sul non conformismo e sull’innovazione permanente
in tutti i campi (dalla morale alla politica e all’economia, eccetera), insomma
su una certa dose di imprevedibilità… Di qui però gli squilibri e,
paradossalmente, la necessità di “un conformismo dell’innovazione”, ossia di un
“politicamente corretto” ad uso e consumo della volubilità ideologica dei
moderni. Perciò il “politicamente corretto”, di qualunque colore politico sia,
ha radici sociologiche profonde: non è l’invenzione di qualche cattivo
ideologo, se ci si passa l’espressione, per fregare il prossimo. Ovviamente,
quanto più crescono le dimensioni di una società, tanto più diviene difficile
imporre comportamenti conformistici, soprattutto quando si tratta di società
innovative, pluraliste, relativiste come le moderne. Al contrario, il
conformismo si impone più facilmente nei piccoli gruppi, si pensi, ad esempio
alle sette, politiche o religiose. Naturalmente le tecnologie informative, oggi
preponderanti e spesso sapientemente manovrate, tendono a ridurre la distanza
tra comportamenti non conformisti e conformisti, in favore però di questi
ultimi. Il che non è bene. Come del resto non è accettabile che la dialettica
tra politicamente corretto e scorretto tenda a risentire eccessivamente della
diseguale distribuzione del potere sociale. Tradotto: purtroppo, chi non ha
soldi, cultura, e posizione deve adeguarsi o ribellarsi, ma a proprio rischio e
pericolo Quale può essere un naturale antidoto, non violento, al conformismo
sociale e al politicamente corretto?
Non c’è una “ricetta” precisa. Intanto, quanto più una società crede nei valori
del pluralismo e del relativismo tanto più allontana da sé il pericolo del
conformismo sociale: una società aperta, per quanto dominata dai media e
segnata da una distribuzione diseguale del potere sociale, sarà sempre meno
conformista di una società chiusa. Inutile qui ricordare il servile destino dei
popoli dominati dal comunismo sovietico e da altre ideologie-caserma.
Esiste però anche il pericoloso conformismo
di matrice relativista e pluralista. Infatti, superato un certo limite, anche
le società aperte tendono a dissolversi e sparire tra le onde dei conflitti
particolari. Anche perché, a prescindere dal regime politico, non è mai facile
individuare a tavolino il giusto “grado” di coesione sociale, o se si
preferisce il mix sopportabile di politicamente corretto. Vilfredo Pareto amava
distinguere tra l’utile della società
(fissato dalla società stessa) e l’utile per
la società (fissato dagli uomini). Purtroppo, il problema resta sempre quello che,
a causa della divisione sociale del potere in governanti e governati, l’utile della società di solito viene scambiato
con quello economico, in genere preferito dalla élite al comando o di governo,
mentre l’utile per società
finisce sempre per essere fissato, talvolta a priori, talaltra di fatto, da
uomini mossi da orientamenti politici differenti e rivolti a conquistare il
potere o la governabilità su altri uomini. Non esiste, insomma, una società che
"fissa" neutralmente qualcosa... Certo l'utile della società può avere una base
quantitativa, e apparentemente oggettiva, ma quasi mai è così. Di qui quei
conflitti e conformismi di segno contrario che, regolarmente, finiscono per
dividere i sostenitori dell’ utile della società
da quelli degli “utili” ideologicamente
differenti per la società. In
realtà, è sempre il contesto storico, fatto di uomini, istituzioni, e valori in
conflitto - a decretare, caso per caso, la vittoria di questo o quel concetto
di utilità. Spetta invece agli storici scoprire “dopo” , e magari a colpi di
revisionismo storico, quel che “prima” spesso viene deciso a colpi di spada. E
così via…
Pertanto bisogna rassegnarsi: un certo grado di conformismo o di politicamente
corretto (certo, di fatto, difficile da quantificare), è nell’ordine naturale
delle cose sociali. E dunque va accettato, se non proprio elogiato.
Concludendo, un modesto consiglio: meglio diffidare di chiunque prometta di
spazzare via a colpi di folle rivoluzionarie il politicamente corretto. Perché
sotto si nasconde la fregatura... Infatti, è certamente giusto, come riteneva
un pensatore politico sardo, che la verità è rivoluzionaria, ma è altrettanto
giusto sostenere che i rivoluzionari, di ogni tipo e colore, reputano la
propria verità più vera di tutte le altre, a cominciare da quella degli
avversari. E una volta al potere tendono a imporla. Come? Attraverso tribunali,
prigioni e purghe in difesa del politicamente corretto, rivoluzionario, of course.
Carlo Gambescia
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