venerdì 20 maggio 2011

Politicamente corretto?
Quasi un elogio

 



Fare il gesto del dito medio verso chi non la pensi come noi è politicamente scorretto? Sottoscrivere ogni dichiarazione di un nostro beniamino ideologico, levando il pollice è politicamente corretto? Ovviamente, sono gesti che costituiscono il livello minimo delle relazioni politiche e sociali. Insomma, la questione è un pochino più complessa. Prendiamola da lontano.
In realtà, una società su che si fonda? Ma sulla reiterazione dei comportamenti, of course. Su ciò che si può dire e fare e su ciò che non si può dire e fare, perché ogni società è un insieme di regole. Di più: ogni gruppo umano che desideri durare, deve favorire schemi di comportamento prevedibili e reiterabili sulla base di regole precise. Detto altrimenti: sulla ripetizione dei comportamenti giusti, ossia sul politicamente corretto.
Piaccia o meno, ma le istituzioni sociali, sono conformiste per Dna, altrimenti vivremmo tuttora isolati in caverne. Semplificando: la regola sociale di base non è l’innovazione ma la conservazione. Per contro - va riconosciuto - il vero “miracolo” (sociale) dei moderni è l’ aver tentato, in parte riuscendovi, di edificare una società basata sul non conformismo e sull’innovazione permanente in tutti i campi (dalla morale alla politica e all’economia, eccetera), insomma su una certa dose di imprevedibilità… Di qui però gli squilibri e, paradossalmente, la necessità di “un conformismo dell’innovazione”, ossia di un “politicamente corretto” ad uso e consumo della volubilità ideologica dei moderni. Perciò il “politicamente corretto”, di qualunque colore politico sia, ha radici sociologiche profonde: non è l’invenzione di qualche cattivo ideologo, se ci si passa l’espressione, per fregare il prossimo. Ovviamente, quanto più crescono le dimensioni di una società, tanto più diviene difficile imporre comportamenti conformistici, soprattutto quando si tratta di società innovative, pluraliste, relativiste come le moderne. Al contrario, il conformismo si impone più facilmente nei piccoli gruppi, si pensi, ad esempio alle sette, politiche o religiose. Naturalmente le tecnologie informative, oggi preponderanti e spesso sapientemente manovrate, tendono a ridurre la distanza tra comportamenti non conformisti e conformisti, in favore però di questi ultimi. Il che non è bene. Come del resto non è accettabile che la dialettica tra politicamente corretto e scorretto tenda a risentire eccessivamente della diseguale distribuzione del potere sociale. Tradotto: purtroppo, chi non ha soldi, cultura, e posizione deve adeguarsi o ribellarsi, ma a proprio rischio e pericolo Quale può essere un naturale antidoto, non violento, al conformismo sociale e al politicamente corretto?
Non c’è una “ricetta” precisa. Intanto, quanto più una società crede nei valori del pluralismo e del relativismo tanto più allontana da sé il pericolo del conformismo sociale: una società aperta, per quanto dominata dai media e segnata da una distribuzione diseguale del potere sociale, sarà sempre meno conformista di una società chiusa. Inutile qui ricordare il servile destino dei popoli dominati dal comunismo sovietico e da altre ideologie-caserma.

 Esiste però anche il pericoloso conformismo di matrice relativista e pluralista. Infatti, superato un certo limite, anche le società aperte tendono a dissolversi e sparire tra le onde dei conflitti particolari. Anche perché, a prescindere dal regime politico, non è mai facile individuare a tavolino il giusto “grado” di coesione sociale, o se si preferisce il mix sopportabile di politicamente corretto. Vilfredo Pareto amava distinguere tra l’utile della società (fissato dalla società stessa) e l’utile per la società (fissato dagli uomini). Purtroppo, il problema resta sempre quello che, a causa della divisione sociale del potere in governanti e governati, l’utile della società di solito viene scambiato con quello economico, in genere preferito dalla élite al comando o di governo, mentre l’utile per società finisce sempre per essere fissato, talvolta a priori, talaltra di fatto, da uomini mossi da orientamenti politici differenti e rivolti a conquistare il potere o la governabilità su altri uomini. Non esiste, insomma, una società che "fissa" neutralmente qualcosa... Certo l'utile della società può avere una base quantitativa, e apparentemente oggettiva, ma quasi mai è così. Di qui quei conflitti e conformismi di segno contrario che, regolarmente, finiscono per dividere i sostenitori dell’ utile della società da quelli degli “utili” ideologicamente differenti per la società. In realtà, è sempre il contesto storico, fatto di uomini, istituzioni, e valori in conflitto - a decretare, caso per caso, la vittoria di questo o quel concetto di utilità. Spetta invece agli storici scoprire “dopo” , e magari a colpi di revisionismo storico, quel che “prima” spesso viene deciso a colpi di spada. E così via…
Pertanto bisogna rassegnarsi: un certo grado di conformismo o di politicamente corretto (certo, di fatto, difficile da quantificare), è nell’ordine naturale delle cose sociali. E dunque va accettato, se non proprio elogiato. Concludendo, un modesto consiglio: meglio diffidare di chiunque prometta di spazzare via a colpi di folle rivoluzionarie il politicamente corretto. Perché sotto si nasconde la fregatura... Infatti, è certamente giusto, come riteneva un pensatore politico sardo, che la verità è rivoluzionaria, ma è altrettanto giusto sostenere che i rivoluzionari, di ogni tipo e colore, reputano la propria verità più vera di tutte le altre, a cominciare da quella degli avversari. E una volta al potere tendono a imporla. Come? Attraverso tribunali, prigioni e purghe in difesa del politicamente corretto, rivoluzionario, of course

Carlo Gambescia

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