giovedì 5 maggio 2011

Il libro della settimana: Massimo Fini, Il Mullah Omar, Marsilio editori 2011, pp. 178, euro 16,50 . 

http://www.marsilioeditori.it/


Per chiunque conosca la letteratura sui pellegrinaggi politici nel Novecento totalitario, il saggio di Massimo Fini su Il Mullah Omar (Marsilio editori, pp. 178, euro 16,50) non rappresenta una sorpresa. Si tratta del classico viaggio romanzato verso l’ennesima Thule ideologica. Solo che questa volta, invece di Berlino, Mosca o Pechino, il suolo da baciare è quello dell’Afghanistan talebano.

A dire il vero, il pellegrinaggio sembra ispirarsi a certi viaggi casalinghi di Salgari… Perché Fini, a differenza di Alphonse de Châteaubriant e dei coniugi Webb, che visitarono, rispettivamente la Germania di Hitler e la Russia di Stalin, sembra non essere mai stato nel paradiso talebano. Del resto l’accenno a Salgari non è fuori luogo, anche stilisticamente. Ecco come Fini presenta a pagina 11 il suo eroe: «Il Mullah Omar, come i corsari di un tempo, porta abitualmente una benda nera sull’occhio destro. Lo perdette nel 1989, a ventisette anni, in una battaglia combattuta contro i sovietici ai confini con Pakistan »… Dopo di che, però, Fini si abbarbica sulle spalle di Alphonse de Châteaubriant: il famigerato «babbeo nel Walhalla», secondo la definizione di Robert Brasillach. Châteaubriant, infatti, oltre all’improntitudine di inneggiare all’«immensa bontà» di Hitler, raffigurò in modo epico il crudele dittatore come un « soldato in un giorno di terribile battaglia, in piedi, solo, in questo cratere, scavato dall’obice assassino, solo, in mezzo ai cadaveri e ai rantolanti moribondi, in piedi nel sangue e la lezione del cielo sopra il suo capo». (La Gerbe des Forces. Nouvelle Allemagne).
E Fini? Leggere per credere: « Una granata centrò un mujaeddin a pochi passi da lui [il Mullah Omar, ndr] e le schegge lo raggiunsero in pieno volto mentre cercava di ripararsi dietro un muretto facendogli fuoriuscire l’occhio dall’orbita. Si racconta che si sia strappato lui stesso l’occhio e ricucito le palpebre. Del resto non è che ci fosse chi potesse dargli aiuto, intorno a lui c’erano quattro cadaveri e altri quattro feriti gravi».
Certo, lo stile è diverso, più pulp, ma il tono è analogo. Sul “Babbeo 2- Il ritorno”, decida invece il lettore.
Ma entriamo nel merito del libro. Che dire? Quattro cose.
In primo luogo, che è poco documentato. La bibliografia è ridotta all’osso. La paginetta finale è messa lì tanto per… In pratica, il volume si basa su due autori ( Rashid e Zaeff, un giornalista, magari bravo ma un giornalista, e un ex ambasciatore talebano pentito); autori che tornano frequentemente nelle note, occasionalmente punteggiate di riferimenti ad articoli (pochini), tratti da quotidiani e riviste, soprattutto italiani. Si dirà, ma in fondo è un pamphlet… E sia. Ma è anche vero che ogni autore scrive il pamphlet che si merita…
In secondo luogo, sul Mullah Omar, una volta letto il libro, se ne sa meno di prima. Salvo la scoperta - ma per chi legge Fini non è una novità - che tutto quello che il Mullah Omar ha fatto, fa e farà, è a fin di bene. Il che ricorda le apologetiche vite dei santi.
In terzo luogo, il libro conferma che la capacità analitica di Fini, se mai esistita, ormai risulta più introvabile del Santo Graal. Un solo esempio: a pagina 30 Fini nota: « Omar impone in tutto il paese un’interpretazione rigida della sharia, la legge islamica, ma non nei termini così estremi descritti in Occidente. Le donne devono portare lo hijab, il velo islamico, (…) non il burqua». A pagina 35, dove si riporta una dichiarazione di Gino Strada, invece si legge: «Le donne quando arrivavano [in ospedale, per lavorare, ndr] si toglievano il burqua e si mettevano il velo. Quando uscivano si rimettevano il burqua». Insomma, il burqua sotto i Talebani era obbligatorio o no? Un lettore, anche affezionato, per dirla con Fini, potrebbe pure «incazzarsi».
In quarto luogo, si scivola nella fantastoria quando Fini conia per l’ esperimento politico talebano il termine «Medioevo sostenibile»… Ora, a parte che di medioevo, senza aggettivi e comunque ricco dopo il Mille di fermenti moderni, ce n’è uno solo, quello europeo, lascia di stucco l' uso disinvolto della storia. Anche qui, leggere per credere : « La rivoluzione talebana - sentenzia Fini - (…) per quanto possa sembrar strano si apparenta, per una parte, alla Rivoluzione Francese. Questa spazzò via il mondo feudale e poi, sulla punta delle baionette di Napoleone, impose un unico diritto in tutta l’Europa. La rivoluzione talebana spazzò via il sistema feudale afgano (i “signori della guerra” con tutto ciò che rappresentato) e unificò il Paese e le sue varie etnie cotto un’unica legge, la sharia. La differenza sostanziale è che mentre la borghesia guardava in avanti, al futuro, il Mullah Omar guarda indietro, al passato ». Certo, una specie di Napoleone, ma con il torcicollo. Chissà Tocqueville quante volte si sarà rigirato nella tomba.
Come concludere? Il pamphlet “trucidamente” antimoderno ormai fa parte del pacchetto-editoriale-Fini: un testo del genere, infatti, può essere letto solo da chi condivida le sue retrograde opinioni sull’Occidente, sulle donne, sul capitalismo, sulla liberal-democrazia. Chi, in particolare? Quei folcloristici gruppetti di neo-spartani della domenica che giocano alle Termopili. Lunatic fringes che tuttavia assicurano, come è giusto che sia, rientro economico-editoriale. Detto altrimenti: è il capitalismo, bellezza! Un sistema socioeconomico che Fini, sputando nel piatto dove mangia, dichiara invece di odiare a morte. Quando si dice la coerenza...
Invece non la pensa così la fumantina Maria Giovanna Maglie. La ex giornalista Rai, fallaciana doc, vuole portarlo in tribunale. A suo avviso, Fini avrebbe scritto un libro « indegno, scandaloso, inaccettabile». La Maglie usa parole di fuoco: « Lo giudichiamo pericoloso per chi lo dovesse leggere, e in quella esaltazione di un uomo che professa l’odioso principio dell’inferiorità della donna, di un uomo che fa saltare sulle mine i soldati che cercano di portare un minimo di libertà (…). Ne abbiamo le scatole piene di cattivi maestri».
Quanto fiato sprecato… Ma quale tribunale… Per seppellire il libercolo del Mullah Massimo Fini basta una risata.

Carlo Gambescia

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