L’amico
Teodoro Klitsche de la Grange , prendendo spunto dall’ incolore ultimo fascicolo di BBC History Italia ( n. 2 - maggio
2011), invita a ragionare, e con la giusta ironia, su una questione
fondamentale: quella di una società incapace di riflettere storicamente su se
stessa.
Buona lettura. (C.G.)
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La storia è finita, ma il gossip imperversa
La storia è finita, ma il gossip imperversa
di Teodoro Klitsche de la Grange
.
Qualche giorno fa ho acquistato in edicola
una (nuova) rivista di storia: BBC
History Italia (n. 2. maggio 2011 - http://www.bbchistory.it/?p=861
). Rivista lanciata con un certo battage
pubblicitario. L’ho comprata pensando che avrebbe pubblicato nell’occasione,
qualche scoop storico. Del
tipo: Cavour voleva davvero l’invasione delle due Sicilie? Hitler ha trattato
con Stalin la pace separata nel giugno del 1943? Mussolini che ruolo vi ha
ricoperto?
Nulla di tutto questo: il servizio principale era sugli amori (e confidenze)
del Duce con la Petacci
(30 pagine!) dal sottotitolo “i lati imbarazzanti del duce”, con tanto di escort “in camicia nera” (forse anche
la nonna di Ruby?). Non manca la soluzione del giallo (un po’ stracotto):
Napoleone morì avvelenato? Né le “cronache mondane”, ovvero i pettegolezzi
sulle nozze reali. E così via, per gran parte della rivista. Di fatti e analisi
nuove di storia politica, economica, sociale e culturale, pochissimo.
La lettura non mi ha sorpreso, anzi ha confermato su quanto vado pensando da
tanti anni (circa venti) e cioè che, almeno in Italia, la “fine della storia”
vaticinata da Fukuyama a quei tempi (che notoriamente non s’è vista), si è
invece realizzata, almeno a livello di dibattito sociale, politico, culturale:
nel senso che di tutto quel che succede si coglie l’aspetto più transeunte,
stupefacente e “privato”, a scapito dei movimenti epocali, nascosti e
“pubblici”, in analogia a come si fa cronaca (politica?). Qualche anno fa, in
occasione di un incontro estivo tra Tony Blair e Berlusconi, che probabilmente
dovevano parlarsi perché qualche decina di migliaia tra soldati inglesi e
italiani occupavano l’Irak, quasi tutta la stampa dedicò pagine su pagine allo sconveniente “look” del cavaliere
presentatosi all’incontro con il premier tenendo la bandana in testa. Di
qualche migliaia di giovanotti in Irak non si curava nessuno.
La storia è finita, ma il gossip
imperversa. Si potrebbe imputare ciò alla sindrome da “Grande Fratello”: non
solo il reality di Mediaset,
ma anche l’entità politica del romanzo di Orwell. Il cui protagonista è infatti
addetto, con criteri diversi, alla falsificazione della storia: lì occultando o
mutando statistiche, fatti, date, documenti, di guisa che da ciò ne appaia ex-post la positività, la coerenza, e
così venga confortata la verità di regime.
Ora, invece, si fa pettegolezzo storico perché sia confortato l’assunto che
tutta la storia è un susseguirsi di vicende private, e, più di altre, sono
queste a determinare quelle pubbliche: ovvero una visione della storia e della
società umana in cui non vi sia un senso, ma soltanto la soddisfazione dei sensi. I rapporti
sessuali rivestono la funzione che, nella filosofia di Marx, hanno quelli di
produzione: determinare il modo di agire e pensare. Se non bastano quelli, sono
comunque dei rapporti privati a
farlo (ma in effetti, almeno in ciò, anche il marxismo determina la
sovrastruttura dalla struttura di rapporti privati,
giacché quelli di produzione sono tra questi). La storia ridotta a gossip non solo è assai più facile da
capire, alla portata di qualsiasi teledipendente,
ma proprio perciò genera la convinzione che non basti documentarsi, leggere,
studiare. Per capire, ad esempio, il Risorgimento italiano: basta pensare alla
grande avvenenza della contessa di Castiglione che aveva irretito Napoleone
III, di guisa che “così l’Italia la fu fatta”, come si cantava in una
canzonetta goliardica. Che da goliardica è diventata seria e reale.
Ma se questo può spiegare il dissolvimento
della storia nel pettegolezzo, non appare l’unica delle spiegazioni. Ce n’è
un’altra, tutta italiana.
Quando, nel 1989-1991, cadde per implosione
il comunismo, i comunisti, cioè la parte maggioritaria della sinistra italiana,
persero il principale sostegno dell’ineluttabilità della vittoria finale:
quello della storia, giusta la visione marxista. In un sistema di pensiero di
derivazione hegeliana vale però il principio che “la storia del mondo è il
tribunale del mondo”: la condanna di quella è senza appello, e lo era con ciò,
quella del comunismo. Ancor più se il comunismo cadde, come cadde, per rigetto endogeno della società, cioè
per rifiuto della stessa. Rifiuto che in Cina ha fatto di un partito comunista
il promotore del capitalismo, pur mantenendo il potere. Altrove ha estromesso
dal governo non solo idee e programmi, ma tutto l’armamentario del socialismo
reale: a cominciare dal partito comunista e dallo Stato socialista. Un tale
evento rendeva palese, come scritto dall’Osservatore
romano che i comunisti fossero gli “sconfitti della storia”. Una
sconfitta epocale e nuova nella storia, come inconsueta ed unica era stata
l’illusione del comunismo: di cambiare la natura umana, essendo esso la
soluzione dell’enigma della storia. Il che suonava funebri rintocchi, non solo
per la classe dirigente PCI, ma anche per quell’altra parte della “sinistra”
italiana che del rapporto con il comunismo aveva fatto un perno e ragione
essenziale della propria azione (e ruolo) politico. Dai catto-comunisti i quali
dopo il 1991 hanno perso il trattino e quello che seguiva (che senso ha essere
catto-comunista a comunismo defunto?); agli azionisti, abituati a sorreggersi
sulla robusta gamba comunista, che si sono trovati a dover camminare da soli.
Da qui la necessità, per i perdenti della storia, di farla dimenticare o
sottovalutare, non potendola cambiare: verum
ipsum factum scriveva Vico. Dopo di che l’importante è costituito –
nella propaganda promossa dalla sinistra - dall’avere buone intenzioni (dati i
pessimi risultati), un comportamento politically
correct e soprattutto trovare un nuovo nemico (questo è
l’essenziale) il cui agire sia l’inverso degli idola moralistico-legalitari, affrettatamente messi là, a
sostituire la fede nella “società senza classi”. Pertanto operoso, straricco e
puttaniere (tutti “vizi” privati). E il crollo della prima repubblica non è
stato un (modesto) corollario dell’implosione del comunismo, della rottura
dell’equilibrio di Yalta, dell’emergere di un nuovo assetto economico e
politico del potere mondiale, dello scadere del ruolo geo-strategico
dell’Italia, o, scendendo di livello, di qualche maneggio o complotto dei
“poteri forti”. No: è stato opera delle procure impegnate, di tecnocrati
pensosi, di pasionarie illibate, tutti nobilmente accomunati nel ripristinare
morale e legge, e nel reprimere giustamente chi vi si oppone: come dimostrano
le tette di Ruby e le telefonate di Lele Mora.
Evviva il lupo cattivo!
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Teodoro Klitsche de
la Grange
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Avvocato, giurista,
direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto
(1998), Il salto di Rodi (1999),
Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).
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