Social Network
Attenti ai PGF
Che, grazie ai Social Network, il Grande Fratello (GF), ipotizzato da Orwell,
potesse dividersi in milioni di Piccoli Grandi Fratelli (PGF) non lo aveva
previsto nessuno. E invece ci siamo quasi… Infatti, stando all’ intervista a la Stampa
(*) del professor Francesco Pizzetti, Presidente dell’Autorità garante per la
protezione dei dati personali, il rischio sarebbe grosso. Secondo il Garante,
«negli anni scorsi abbiamo visto casi come la diffusione su YouTube o Facebook,
per esempio, di video ripresi a scuola che hanno creato non pochi problemi e di
fronte ai quali spesso i ragazzi mostravano di non avere piena consapevolezza
degli effetti che scatenavano. “Non pensavo che il video lo vedessero tutti”,
era la tipica risposta dopo che era esploso un qualche caso». Invece adesso,
osserva Pizzetti, «l’idea è che realizzo il video proprio perché lo vedano tutti.
Lo scopo è dare la massima diffusione a ciò che denunciamo, fosse anche
soltanto un professore ripreso in classe con un telefonino mentre sbircia in un
libro, magari perché non ricorda un concetto: ci vuol poco sul web a farlo
passare per ignorante. Ci stiamo trasformando in controllori, che a loro volta
però rischiano continuamente di essere controllati. La voglia di trasparenza è
diventata uno stato di denuncia permanente di abusi veri o presunti».
Il quadro tracciato è preoccupante. Soprattutto se si pensa a due fattori di
rischio: da un lato il cattivo esempio fornito dalle feroci divisioni
politiche, dall’altro la diffusa sfiducia dei giovani verso tutto e tutti. Il
mix, per usare un parolone, tra il nichilismo, imperversante e il crescente
sviluppo delle tecnologie comunicative rischia di trasformarsi in boomerang.
Ovviamente, indietro non si può tornare. Non possiamo fare un rogo di
televisori, computer e tecnologie varie, come auspica Massimo Fini. Il bello (o
brutto che sia) della democrazia consiste proprio nell’accettazione del rischio
libertà-licenza, ossia nella possibilità di eccessi, come a proposito di una
fraintesa, e tecnologicamente armata, idea di trasparenza totale e assoluta.
Del resto l’alternativa quale può essere? Zero trasparenza? Come in Cina e in
altri nazioni antidemocratiche? No. Probabilmente se la politica attenuasse i
toni, fornendo esempi di buon governo , e se certo giornalismo smettesse di
usare l’idea di trasparenza come un martello qualunquistico, buono però per
colpire i nemici politici di turno, forse le cose potrebbero cambiare, e in
meglio, soprattutto tra i giovani.
Perché non va mai dimenticato, che la trasformazione della «voglia di
trasparenza in stato di denuncia permanente di abusi veri o presunti »,
evidenziata da Pizzetti, è una reazione uguale e contraria all’assenza di una
trasparenza che tuttora, spesso, continua ad essere negata anche nelle nazioni
democratiche. Serve perciò una politica del giusto mezzo. Certo, facile a
dirsi… Ma si deve tentare.
Carlo Gambescia
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