In margine a una lettera di Gioacchino Volpe
Questioni di fede
Gioacchino Volpe (1876-1971) |
Partiamo da un passo di Gioacchino Volpe, storico vero. Il quale visse parte
delle tragiche vicende del 1943-1945 nella sua casa di Sant’Arcangelo di
Romagna. E come altri milioni di italiani: puro e semplice testimone-ostaggio
di una crudele guerra civile, ormai distaccato dal fascismo, al quale in
passato aveva aderito.
Scrive Volpe alla moglie Elisa Serpieri:
“Oggi è la Madonna di mezz’agosto e
andrò a messa con Edoarda. Ogni tanto mi ricordo delle tue raccomandazioni.
Cercherò di pregare, di raccogliermi. Ma come mi è difficile fondere il di qua, che io da tanto tempo mi sono
abituato a cercare di capire in sé, nelle sue forze proprie che lo muovono, e
il di là! Son come due mondi
separati! Ma io chiederò di avere forza e coraggio: cioè rafforzerò in me il
proposito di avere forza e coraggio. Chiederò di essere pari alle necessità e
pari a me stesso, qualunque cosa accada, perché i miei figliuoli non abbiano
nulla da rimproverarmi e tu possa rimanere con un alto ricordo di me. Quando
vado in chiesa, mi viene fatto naturalmente di riandare alla mia vita,
risuscitare i miei ricordi, fermarmi alle pietre miliari (…). Così la mia vita
si ricompone tutta e quasi si offre alla divinità, riconoscendo da essa i
dolori e le gioie” (Gioacchino Volpe, Lettere
dall’Italia perduta 1944-1945, Sellerio editore, Palermo 2006, pp.
44-45).
Volpe ricordando il conflitto interiore, tuttora presente in ogni studioso (in
particolare se credente), tra le leggi del di
qua e del di là,
pone una questione fondamentale. Come “fondere” senso religioso e senso
storico? Volpe era davanti al Finis
Italiae… Ma come ricondurre una guerra fratricida alla volontà di
Dio? Forse, a posteriori, una volta cessati i bombardamenti aerei? Ma intanto
Volpe era sotto le bombe. E da storico allergico a qualsiasi interpretazione
metastorica non poteva non ribadire la necessità di studiare le cose umane per
se stesse. Riducendo però - ecco la controindicazione - religione e fede a puro
fatto soggettivo, anzi biografico.
Si può criticare l’ approccio, ma il problema rimane. E che problema. Da un
lato, l’urgenza della Salvezza nel di là,
dall’altro, l’impellente volontà di capire le cose del mondo nel di qua. Certo, si può sempre ridurre il
di qua a un per molti comodo
“Dio lo vuole”… Ma si può giustificare tutto in nome di Dio? Ovviamente,
nessuno vieta di spiegare il di qua
con il di qua (si pensi ai
nostri modesti sforzi di costruire una metapolitica concreta...). In quest
'ultimo caso resta però aperta la grande questione del senso finale della
metapolitica, della storia, della sociologia, eccetera.
Certo, si può rinunciare a ricercarlo. Perché si può sempre procedere
all’insegna del “come se”… E dunque scegliere il convenzionalismo...
Ovviamente, anche Dio può essere definito alla stregua di una convenzione. Ma
allora anche la "dea" libertà sarebbe una convenzione ( si pensi alla
filosofia della storia crociana)... E cosa dire di altre "divinità"
come il comunismo, il socialismo, eccetera?
Ecco però il punto fondamentale: il profondo
dramma interiore di Volpe (e di altri studiosi) può essere spiegato, e
dissolto, solo e sempre in termini di scelte soggettive tra convenzioni
alternative? Esiste un’oggettività profonda, capace di andare oltre la stessa
oggettività della scienza?
Probabilmente la risposta definitiva può essere ricercata nell' intensità della
fede individuale di ciascuno di noi. Intensità, che però implica, se pervasiva,
il rischio di dissolvere il di qua
nel di là.
Il che può essere lodevole nel santo. Ma
nello storico e nel sociologo?
Carlo Gambescia
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