Oggi lasciamo la parola all'amico Nicola
Vacca, poeta e scrittore lontano dai soliti giri. Il pezzo è apparso ieri sul
quotidiano "Linea" nella rubrica settimanale di poesia a sua cura.
Chi meglio dell' amico Nicola può
ristabilire la giusta distanza tra una"incivile" non poesia da
"Maurizio Costanzo Show" e una poesia che invece può illuminare la
"civiltà delle anime" ? (C.G.)
***
Il libro della settimana: Valentino Zeichen, Aforismi d'autunno, Fazi 2010, pp. 167,
euro 15,00.
http://www.fazieditore.it/ |
Valentino Zeichen è un poeta troppo
sopravvalutato. Non è un caso se alcune sue opere sono state pubblicate nello
Specchio mondadoriano, collana di poesia storica, e una volta anche
prestigiosa, nella quale oggi sono quei poeti che non hanno molto da dire.
Qualche anno addietro, stroncando molto volentieri Neomarziale, uscito appunto ne Lo Specchio, parlai di
Zeichen poeta che “racconta occasioni e situazioni senza mai entrare nel cuore
delle cose, il suo verso descrive soltanto quello che accade. Una poesia
incolore che rende la vita una faccenda antiemotiva e priva di sensazioni “.
Zeichen con quella raccolta si confermò un poeta dalla vena occasionale. Questo
descrivere alla lettera le cose e le azioni del quotidiano fa della sua poesia
una sequenza completamente morta di parole che serve soltanto a riempire pagine
bianche. Valentino Zeichen, ancora oggi, non crede nella funzione affermativa
della poesia, non ritiene opportuno scavare nelle ragioni intrinseche della
parola poetica, cosa più grave non vuole ispirarsi alla follia di vedute
passionali per inventare emozioni in grado di catturare i lettori.
È sufficiente sfogliare il suo nuovo libro fresco di stampa per imbattersi
nella piatta banalità del discorso poetico di Valentino Zeichen. Aforismi d’autunno (Fazi editore,
pagine 167, 15 euro) è una cattiva copia di uno zibaldone in cui il poeta (?)
si cimenta con la folgorante brevità dell’aforisma. Il risultato è davvero
deludente, ma è allo stesso tempo la conferma della scrittura insignificante e
minimalista di Zeichen che non riesce ancora una volta ad andare oltre la
superficie delle parole.
A cosa serve scomodare le intuizioni che pugnalano tipiche dell’aforisma se non
si riesce a scalfire il proprio tempo con la ricchezza di poche parole? Praticamente
a nulla. Nel caso di Zeichen l’aforisma è un vuoto esercizio di stile, un
pretesto per realizzare un narcisistico atto di scrittura. “Si lima le ossa / delle unghie / sul mio cuscino”;
“Nel frattempo si annida la polvere /sul nodo scorsoio della cravatta”; “I
poeti subacquei s’immergono / nel torbido dell’interiorità / mentre la
profondità galleggia / nella superficie del linguaggio” .
Questi pochi frammenti rendono perfettamente l’idea di una scrittura arida e
volutamente incapace di esprimere qualcosa. Nella bandella si legge che Zeichen
ha scritto questi aforismi in forma di poesia “ pensando ai cambi di colore
della natura in autunno,a metafora di una condizione esistenziale, trae
ispirazione dalla profondità di Karl Kraus, dall’eleganza di Oscar Wilde,
nonché dalla raffinata leggerezza di Ennio Flaiano”.
Cari amici di Fazi, forse avete esagerato un po’. Leggere per credere. Oscar
Wilde: “L’opinione pubblica esiste laddove non ci sono idee”. Karl Kraus: “Che
tortura questa vita in società! Capita che uno sia così premuroso da offrirmi
del fuoco e allora, per essere premuroso con lui, mi devo tirar fuori di tasca
una sigaretta”. Ennio Flaiano: “Ho un solo motivo di consolazione. Si crede
comunemente che gli stupidi sodalizzino. Non è vero. Nessuno odia e disprezza
tanto uno stupido quanto un altro stupido. Se così non fosse… ma il guaio è che
siamo tanti”.
Non c’è nient’altro da aggiungere. Zeichen non ha la profondità di Kraus,
nemmeno l’eleganza di Wilde, la raffinata leggerezza di Flaiano neanche lo
sfiora. Infatti, in uno dei suoi Aforismi
autunnali, egli si definisce un poeta svogliato che non vuole più
saperne di scrivere, e ha bloccato l’emorragia dell’inchiostro con la matita
emostatica. A questo punto è lecito chiedersi perché abbia pubblicato un altro
libro inutile.
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Nicola Vacca
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