La fortunata serie televisiva sulla "Banda della Magliana"
Violenza a portata di telecomando
.
Dal 18 novembre andrà in onda su Sky la seconda serie di “Romanzo criminale”.
Sorprende - ma fino a un certo punto - il successo televisivo “mondiale” (*) di
storie che riguardano un gruppo di feroci e determinati delinquenti romani. Del
resto, basta fare un giro su YouTube, ad
vocem , per leggere giudizi entusiasti sul "valore" del
“Libanese” e sodali.
Lo scrittore-magistrato De Cataldo, autore dell’ omonimo romanzo e supervisore
della serie televisiva, ha già messo le mani avanti, dichiarando che nella
seconda stagione ci troveremo davanti a
"una parabola che ha qualcosa di tragico" E che perciò
"la guardino soprattutto quelli che
hanno detto che c'era un'esaltazione dei cattivi nella prima. Qui c'è la resa
dei conti”.
Ne prendiamo atto, ma il punto è un altro. Anche perché a “Romanzo Criminale”
vanno affiancate le più diverse produzioni televisive, di pari successo,
rivolte a celebrare il ruolo positivo di polizia, magistratura eccetera, serial
che godono di altrettanta ammirazione su You Tube.
Che c’è allora che non va? La dietrologia e il sociologismo facile. Ci
spieghiamo subito. I media usano presentare i protagonisti delle fiction (siano
poliziotti o criminali) come vittime di un potere più grande di loro che si
manifesta attraverso determinismi sociali, capaci di scattare inesorabili: il superiore
venduto, il politico intrigante, il poliziotto corrotto, o al contrario il
poliziotto onesto ma sfortunato, il superiore integerrimo ma vittima dei
potenti di turno, e così via, passando dal micro al macro.
Però in questo modo i media seminano soltanto incertezza e senso di impotenza.
Detto altrimenti: al tempo stesso non rafforzano la lealtà dei cittadini nei
riguardi delle istituzioni né la capacità di protestare o la voglia di
impegnarsi democraticamente. Mentre alimentano nella gente la paura di finire
sotto le ruote di una macchina sociale apparentemente inarrestabile. Di qui
certo conformismo sociale autodifensivo, dietro il quale però si scorge un
gusto collettivo, oggi abbastanza diffuso e talvolta manifesto tra i giovani,
per la violenza individuale in quanto tale, come strumento di rapido
annullamento dell’altro: una violenza gratuita e tesa alla pura
autoaffermazione.
Diciamo che si tratta di una violenza
traslata : l’individuo non potendo dirigerla sulle istituzioni, la
interiorizza e trasferisce sull’altro.
Concludendo, il problema di certe produzioni
televisive non è l'esaltazione del buono o del cattivo, ma l'enfatizzazione
della violenza a fronte - perché il messaggio è questo - di un mondo che non
potrà mai essere cambiato "né con le buone né con le cattive"...
"Cattive", però, che possono essere usate contro chiunque,
individualmente, ci dia fastidio. Dal momento che le "buone"
impongono tempi lunghi... La bontà non sempre è riconosciuta e gradita...
Mentre che c'è di più rapido di un pugno - o di peggio - per "regolare un
conto in sospeso"?
La violenza come forma di
guerra tra "poveri"? Forse. E fiction come "Romanzo
criminale" non aiutano.
Carlo Gambescia
(*)
Nessun commento:
Posta un commento