mercoledì 24 novembre 2010

Gianfranco Miglio, Roberto Saviano e la mafia
Gomorra, Cartagine, Roma

Busto di  Gianfranco Miglio (Brescia 2010) 

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Dare oggi a Gianfranco Miglio del mafioso, o comunque dello “sdoganatore”, ricorda l’accusa, altrettanto sciocca, rivolta a Vilfredo Pareto, già negli anni Venti, di essere stato l' ideologo principe del fascismo. Si tratta perciò di una "imputazione" che non può che squalificare ulteriormente un personaggio, già incolore per cultura e intelligenza, come Roberto Saviano.
Ma torniamo a Miglio, scomparso nel 2001. Prima la frase “incriminata”, che risale a un’ intervista del 1999.
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“Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina la crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate” .
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(“Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica”, intervista a cura di Stefano Lorenzetto, “il Giornale” 20-03-1999, p. 9, Pdf reperibile qui: http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search&currentArticle=131XU )
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La chiave per capire il senso politologico di un’affermazione che a prima vista può apparire paradossale, non è tanto l’ idea di “costituzionalizzazione della mafia” quanto il termine “costituzionalizzare”.

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Dalla "pistola" al "contrattto"
Si tratta di un termine che rinvia alla teoria politica di Miglio e in particolare alla sua analisi del processo politico. Da lui ciclicamente inquadrato come conflitto tra un diritto astratto imposto dall’alto, in nome dell’impersonalità della legge, e un diritto corporativo, concreto, difeso in basso e spesso legato al potere di un uomo, ma comunque esito di una dialettica politica, sempre viva e accesa, tra i diversi e opposti gruppi sociali. Di conseguenza per Miglio lo “Stato moderno”, in particolare lo “Stato di diritto”, rimane l’eccezione (storica) piuttosto che la regola. Siamo perciò davanti a un conflitto permanente e costitutivo tra i vari gruppi sociali, dove i vincitori (sempre temporanei), possono imporre le propria legge, appunto “costituzionalizzandola” e quindi "incivilendosi", seguendo la fase ascensionale della traiettoria vichiana. Un sociologo parlerebbe di processo di istituzionalizzazione. Come dire: dalla "pistola" al "contratto". O se si preferisce, da Gomorra a Cartagine. Honoré de Balzac scorgeva dietro ogni grande fortuna un delitto... Miglio, senza emettere alcun giudizio di valore, ha tradotto politologicamente il senso profondo della Comédie humaine .
Si tratta di un approccio realistico, se non naturalistico alla politica (da Miglio denominato "puro"), che pone al centro la ferrigna e inflessibile dinamica delle forze sociali in lotta, dove altri invece hanno posto l'economia, la religione, l'etica, la scienza, i grandi uomini, eccetera. Certo, dietro l'approccio di Miglio si erge una visione dell’uomo, quella eraclitea del Polemos signore di tuttte le cose, che non potrà mai piacere a quelle che Miglio, nella stessa intervista, definisce “anime belle”. Ma ascoltiamolo:
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“La politica come la pensava Machiavelli, ha regole diverse dall’etica. La morale è una cosa, la politica è un’altra. Ecco perché non posso soffrire le anime belle, i La Pira, i Dossetti, i Lazzati, con la loro idea astratta dell’uomo. Non sopporto i cattolici sociali che vorrebbero insegnare al Padreterno come andava fatto l’uomo. Io invece accetto l’uomo come Dio l’ha creato, un impasto di bene e di male”.

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Gomorra, Cartagine, Roma
Pertanto “costituzionalizzaziare” significa realisticamente prendere atto della forza del nemico o avversario e agire di conseguenza: se chi ci fronteggia con la spada sguainata non può essere “spento”, come scriveva Machiavelli, si può provare a blandirlo… Fermo restando, che il nemico potrebbe non accettare le nostra offerta di pace. Oppure sì… Di qui la possibilità di sopraffarlo, nel caso di suoi errori o improvvise debolezze.
Piaccia o meno, la politica si regge sui puri rapporti di forza. Va anche detto, per inciso, che un approccio del genere, non può escludere per il futuro, almeno in chiave ipotetica, che lo Stato italiano non possa sviluppare una forza superiore e così piegare la Mafia. E quindi, simbolicamente il processo politico potrebbe spingersi più in là: Gomorra, Cartagine, Roma.
Ovviamente, per Miglio, che riteneva l’Italia “una mescolanza di popoli che dovevano restare separati” , quest’ultima strada, soprattutto al Sud, non era percorribile. E qui, in effetti, il politologo mostrava di ragionare più da ideologo “antiunitarista” che da scienziato politico. Ma di sicuro non da ideologo della mafia o da “sdoganatore”. La vera scienza politica, pur talvolta mescolandosi (“dopo”) all’ ideologia, parte sempre (“prima”) da constatazioni di fatto, inoppugnabili. Che al massimo possono “sdoganare” la verità…

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Ritorno all'Antico regime
Miglio muoveva da una constatazione oggettiva e precisa dei processi politici in atto, e per giunta in anni non sospetti. Ecco quel che scriveva nel 1966:
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“Credo non sarà sfuggita a nessuno la evidente corrispondenza esistente fra la legittimazione del profitto a livello d’azienda e gruppo produttivo, apparsa recentemente nei paesi di ‘democrazia popolare’ e il dilagare in Occidente dei particolarismi ‘corporati’ di tipo aziendale (pubblico e privato) e sindacale. Muovendo da direzioni opposte i due sviluppi convergono in un medesimo punto: nella convinzione che lo ‘status dell’individuo non obbedisce più al principio astratto dell’uguaglianza, ma è variamente determinato dal gruppo organizzato a cui l’individuo principalmente appartiene; e, conseguentemente, nella constatazione che alla competizione individuale, tipica dello ‘Stato di diritto’, borghese, si è sostituita nuovamente la competizione di ‘corpi’ , ‘ordini’ e ‘comunità’ tipica della società di Antico regime (…). In tale prospettiva , quale potrebbe essere il destino dello Stato? Probabilmente (…) la sorte dell’autorità statuale potrebbe non essere molto diversa da quella che, in un’analoga congiuntura costituzionale, toccò già alla ‘monarchia feudale’ (…). Analogamente il potere statuale potrebbe gradualmente ridursi ad una autorità nominale, o meglio ad una istanza arbitrale, sprovvista di autonomo potere coattivo e di iniziativa, ma adatta a mediare saltuariamente i conflitti fra le potenti corporazioni di cui si discorreva poco fa”.
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(G. Miglio, Il ruolo del partito nella trasformazione del tipo di ordinamento vigente [1966], ora in Idem, Le regolarità della politica. Scritti scelti raccolti e pubblicati dagli allievi, 2 voll. Giuffrè Editore, Milano 1988 , vol. I, pp. 547-548)
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Questa non è che una tra le numerose citazioni in argomento che si possono ritrovare nei suoi scritti.
Ora, un quadro del genere - a dir poco profetico, se si pensa al destino del mondo sovietico, al processo di globalizzazione e alle guerre in atto - prova come la verità della scienza finisca sempre per vendicarsi dell’ideologia. E come al tentativo dell’applicazione della legge uguale per tutti (l’eccezione storica) finisca sempre per sostituirsi la dura competizione (la regola), fatta, come insegna la scienza politica, di conflitti, trattative, accordi, fra tutti i gruppi sociali, e, a maggior ragione, tra lo Stato ( che può essere facilmente retrocesso a gruppo tra i gruppi…) e altri attori sociali, inclusi, probabilmente, anche quelli criminali.
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Conclusioni
E qui arriviamo alla questione della presunta (per ora) trattativa Stato-mafia” del 1993, di cui tanto si discute in questi giorni. Trattativa, che pur essendo ancora da provare sul piano giudiziario, potrebbe risultare attendibile dal punto di vista della sociologia, ossia di una società che, per dirla con Miglio, ricorda sempre più “la competizione di ‘corpi’, ‘ordini’ e ‘comunità’ tipica della società di Antico regime” - poi cancellata dalla Rivoluzione francese - dove lo Stato in realtà era meno assoluto di quanto oggi si creda…
Una società, proprio come nel 1992-1993 (non che le cose ora in Italia vadano meglio…), dove uno Stato partitocratico, debole e diviso, non poteva non mostrarsi disponibile a trattare su tutto e con tutti, pur di conservare un brandello di potere. Figurarsi perciò con la mafia…
Pertanto - riassumendo - la lucida analisi scientifica di Miglio risulta né a favore né contro la Mafia: descrive una situazione di fatto. Infine, il politologo della Cattolica avanza un’ipotesi interessante che può aiutarci a capire il perché “sociologico” della trattativa Stato-mafia del 1993, tuttora però giudizialmente da provare. Ma anche per andare oltre. Perché il realismo di Miglio può essere utile a coloro che al Sud come al Nord vogliono giustamente combattere mafia, camorra, 'ndrangheta. Altro che “sdoganatore”…

Carlo Gambescia
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