La rivista della settimana:
“Tropinka” vol. 1, no.1, 06/2010, pp. 112, euro 15.
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Eppur si
muove. Che cosa? L'intelligenza. Perché in una Francia che, stando al
conformismo mediatico, sembra esistere solo per essere pro o contro Sarkozy,
nascono ancora riviste non conformiste e di qualità. E che soprattutto volano
alto, oltre il chiacchiericcio politico. Come appunto prova il primo numero di
“Tropinka. Revue d’escriture internelle contre-révolution” culturelle” (vol. 1,
no.1, 06/2010, pp. 112, euro 15). La rivista è diretta da Thierry Jolif,
scrittore, musicista, studioso delle culture e filosofie tradizionali, dalla celtica
e bretone alla russa, passando per la patristica (per approfondire si veda il
suo sito: http://thierryjolif.hautetfort.com/ ).
Tropinka in russo significa “ la via stretta”. Secondo i padri del deserto,
leggiamo nella presentazione, percorrere “la via stretta significa (…) lasciare
tutto quel che si possiede” a cominciare “dalle “proprie idee, buone o cattive
che siano”. Insomma, bisogna fuoriuscire “dal dominio mortifero della ‘lettera’
“ . O detto altrimenti: della parola scritta, quasi sempre frutto di un
linguaggio codificato e oggi mercificato. Di conseguenza “lo scrivere" va
inteso come "riscrittura interiore, segreta” di noi stessi, non in chiave
narcistica ma di apertura all'assoluto, di cui l'uomo è icona. In questo senso,
come si intuisce, la via stretta è quella di una poïètique generosa, capace di recuperare il sacro quale
scelta “non antimoderna”, ma sicuramente “non moderna”
Al riguardo si legga il giudizio assai critico di Thierry Jolif sul piccolo
profeta del nulla, Michel Onfray, proprio nell’articolo che apre il fascicolo (Cecitelos et Eschatologie, pp. 13-24):
giudizio che ricalca quello di Nikolaj Berdjaev verso certo compiaciuto
umanismo, travestito da cristianesimo rovesciato.
Segue il notevole scritto di David Gattegno (Politique
Littéraire, pp. 25-41), dove s’ingaggia un corpo a corpo con la
tradizione letteraria francese, scorporando l’ eterno, la parola viva (ciò che
attiene al mitico e al collettivo) dal caduco, la parola scritta ( ciò che è
frutto di ristretti circoli intellettuali).
Fanno seguito due saggi altrettanto interessanti: Olivier Cappaert (Lo Zek et le Ring, pp. 43-56), intorno
alla letteratura del dolore, germinata nell’inferno dei Gulag sovietici, come
in particolare nell’ opera di Aleksandr Solženicyn; Tierry Jolif (Pour finir avec la bibliophilie, pp.
57-63), dove si discute del “feticismo” del libro, partendo da un testo in
argomento di Roger Caillois.
Notevole anche lo scritto di Vincent Chapin (Affronter
le Dragon dans l’Âge de Fer. Hymne à St Michel, pp. 67-71). Seguono, infine, la pubblicazione di
un breve componimento di William Blake, poetico mitografo dell'essere
collettivo: Le barde Bajan (p.
73), nonché due rubriche: una di recensioni (pp. 77-84); una di ritratti
(87-106): La Stratégie Volkoff ,
di Thierry Jolif; De La nobilissime
viridité: paradoxe de la mystagogie des lettres, di Tugdual de
Kervrann, dove si accostano le figure di Tolkien e Blake.
Una volta letto e chiuso il fascicolo, si ha l’impressione di aver fatto una
cavalcata in compagnia dei nostri antichissimi “Padri”, attraverso il mito, la
storia, il simbolo, quasi sospinti dalla forza vivente di un sacro, che
precede, innerva e accompagna il cristianesimo. In cerca, tra boschi sacri,
templi, eremi e cattedrali, di quell’anima profonda dei popoli, che è giusto
riscoprire e apprezzare, "oltre la lettera", senza però pretendere di
trasformarla in nuovo feticcio. Del resto la "via stretta" che
conduce alla salvezza, proprio perché stretta, racchiude anche il pericolo...
La parola per restare vivente deve essere nel
mondo senza essere del
mondo… Deve mutare, pur rimanendo se stessa. Per dirla con Ezra Pound: “ Le parole sono come foglie, come vecchie foglie
brune in primavera/che dove vadano non sanno, in cerca di una canzone./ Parole
Bianche come fiocchi di neve, ma sono gelide,/parole di muschio, parole sulle
labbra, parole di lenti ruscelli.
Carlo Gambescia
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