Rapporto Ocse
Dove va la scuola
italiana?
Povera Italia, certo, non bocciata, ma
rimandata a settembre… Ecco ciò che decretano le cifre dell’ultimo Rapporto
Ocse (Oecd) sull’istruzione (http://www.oecd.org/document/52/0,3343,en_2649_37455_45925620_1_1_1_1,00.html ). Qualche dato
"a spizzico", vista l'ampiezza di un testo che meriterebbe ben altro
spazio...
In media, i paesi dell’Ocse dedicano all’istruzione il 13,3% della spesa
pubblica complessiva, l’Italia, invece, è ferma al 4,5. Inoltre, sempre in area
Ocse, il 90% dell’istruzione primaria, secondaria e post-secondaria non
universitaria è pagato con fondi pubblici. E qui l’Italia è in media perfetta,
facendo però schiattare di rabbia i professori ipermercatisti del “Corriere
della Sera” … Di più: se nei paesi Ocse, in media, il 70% del bilancio in
materia è destinato alle retribuzioni del personale, in Italia, viaggiamo
intorno il 90 %.
Negli ultimi trent’anni, sempre in ambito Ocse, i livelli di istruzione sono
molto cresciuti: in media la quota di 25-34enni con almeno un’istruzione
secondaria superiore è di 22 punti percentuali superiore a quella della fascia
di età 55-64. Tra i più giovani (17-20 anni), il tasso di conseguimento di un
titolo di istruzione secondaria superiore supera il 70% in più dei due terzi
dei paesi Ocse, raggiungendo il 90% in nove paesi.
E qui, a dire il vero, l’ Italia non è rimasta indietro. Perché, seppure
lentamente, ha recuperato mettendo a segno una rapida espansione dell’istruzione
superiore e terziaria con livelli medi, in ambito universitario, balzati di
oltre il 5% l’anno rispetto a dieci anni fa. Si tratta di un successo, legato
alla nascita delle lauree brevi, che ha condotto a un 20% di laureati nel 2008
( ma solo tra i 24 e i 34 anni). Per contro la percentuale di scolarizzazione
terziaria si è dimezzata per la fascia tra i 45 e i 54 (12%), per abbattersi al
10% per quelli tra i 55 e 64 anni. Nel complesso però la media dell’istruzione
terziaria in Italia resta bassa rispetto a quella dei cosiddetti paesi
industrializzati: solo il 2,4% di tutta la popolazione contro il 33,5% degli
Usa, il 14,7% del Giappone, il 5,8% della Germania.
Infine, il Rapporto Ocse sottolinea l’importanza della relazione tra istruzione
universitaria, reddito ed occupazione. Dal momento che le cifre provano che, di
regola, un laureato produce più reddito, più entrate fiscali, e rischia assai
meno, rispetto a un non laureato, di perdere il posto di lavoro.
Qual è il succo? Che l’Italia, pur facendo qualche piccolo progresso, continua
ad investire poco nell’istruzione. Pertanto la politica dei tagli del ministro
Gelmini non aiuta…
C’è però un dato, in particolare, sul quale riflettere. In Italia, la media
delle ore di permanenza a scuola è elevata. Gli alunni italiani tra i 7 e gli 8
anni passano ogni anno 990 ore a scuola contro una media Ocse di 777. Tra i 9 e
gli 11 le ore salgono a 1023 contro 882 per poi salire sopra i 12 anni a 1089
(la media Ocse è di circa 959 ore). Come mai, malgrado lo stazionare (o
riscaldare…) sui banchi, il rendimento degli studenti della scuola dell’obbligo
non è tra i più elevati, e per giunta rivela scarsi risultati in matematica,
scienze e nella comprensione dei testi? Mentre in paesi come la Norvegia e la Finlandia , da sempre
considerati importanti punti di riferimento, le ore passate sui banchi degli
studenti sono largamente inferiori a quelle italiane?
Probabilmente qualcosa non funziona nei metodi di insegnamento. In particolare,
nella capacità, da parte degli insegnanti di trasmettere agli alunni, non tanto
le nozioni di base in alcune materie, quanto la “volontà di sapere”. In questo
senso, il vecchio Giuseppe Mazzini, ormai letto da quattro gatti, parlava
dell’istruzione come vero “pane dell’anima”. Certo, si tratta di un’impresa non
facile, e per una serie di ragioni: perché gli insegnanti andrebbero motivati
(non solo economicamente), perché non tutti gli studenti sono al medesimo
livello cognitivo e, infine, perché le famiglie di oggi sono quel che sono…
Ma perché non provarci?
Carlo Gambescia
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