mercoledì 22 settembre 2010

Riflessioni
La tolleranza questa sconosciuta



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Impedire di parlare a un sindacalista, come è capitato qualche settimana fa a Raffaele Bonanni è un brutto segno dei tempi. Purtroppo, pare si sia dimenticato il clima di intolleranza, non solo verbale, che poi sfociò nella violenza terrorista degli “Anni di piombo”… Possibile sia così difficile capire che dietro l’ intolleranza c’è sempre il settarismo? E che dietro il settarismo, si nasconde il delirio di onnipotenza del fanatico che ritiene di possedere la storia chiavi in mano?
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Tolleranza, “trucchetto” o conquista?
Per contro, la moderna idea di tolleranza, come è possibile leggere in qualsiasi manuale storico, nasce, “per stanchezza” alla fine delle Guerre di religione: conflitti che avevano insanguinato il Cinquecento e il Seicento. Una conquista preziosa, liquidata però come “trucchetto” liberal-borghese dai totalitarismi novecenteschi. Ma snobbata anche dai pittoreschi profeti della controcultura anni Sessanta, storditi dal contorto messaggio di liberazione, anche sessuale, della filosofia marcusiana. E qui torna giusto ricordare che per il Marchese di Sade, poi riscoperto e apprezzato dagli pseudo-rivoluzionari sessantottini, “la tolleranza è la virtù del debole”. Ma su questi aspetti “genealogici” rinviamo al notevole libro di Riccardo De Benedetti, La Chiesa di Sade. Una devozione moderna (Medusa ).
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Che fatica essere tolleranti…
Torniamo a noi. Che cosa vuol dire essere tolleranti? Sul piano umano e politico significa rispettare le idee degli altri. Cosa che richiede un’attitudine a mostrarsi ragionevoli, comprensivi verso le idee religiose, politiche, economiche, diverse o contrarie.Facile, no? E invece metterla in pratica non è così semplice. Si pensi ad esempio al rapporto tra lotta politica, tolleranza e intolleranza. Questione ignorata dagli stessi politologi. I quali talvolta non si pongono alcune domande fondamentali: la tolleranza è un fatto di costume? Nel senso che dipende da abitudini storiche condivise? Oppure può essere sancita e rafforzata da leggi in grado di imporre ai cittadini il rispetto di alcune procedure? Ma fino a che punto si può essere tolleranti? Come fissare i confini tra tolleranza e intolleranza? Il costume richiede secoli. Una legge pochi giorni o mesi. E di regola le leggi non fondate su costumi consolidati sono disattese dai cittadini.
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Lo “zampino del “Divin Marchese”
Quindi, per tornare ai fischi a Bonanni, i contestatori hanno mostrato di non essere “accostumati” alla democrazia. Potremmo perciò definirli “scostumati”: perché fautori di un comportamento contrario alla morale, certo, non sessuale, ma democratica… E qui si pensi anche ai possibili legami intellettuali con il “Divin Marchese” - sessualmente “scostumato”, e al tempo stesso nemico della tolleranza e della democrazia. Ovviamente si tratta di un pura ipotesi, suggestiva ma da dimostrare.
Ma va segnalata - onestamente - una contraddizione. La tolleranza rinvia a una visione relativistica della politica, capace di porre tutte le credenze sullo stesso piano. Mentre la politica - o il Politico se si preferisce - rinvia alla decisione. E la decisione implica la scelta fra credenze diverse, e quindi il “sacrificio” della credenza minoritaria.
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Chi decide?
La democrazia contemporanea, permeata di valori liberali, ha però tentato di aggirare l’ostacolo della decisione, imponendo per legge, anzi per costituzione, la mediazione procedurale. Come? Garantendo la rappresentanza partitica alle credenze minoritarie, libere di esprimersi duranti le fasi dibattimentali, come accade in Parlamento. Al prezzo però di annacquare talvolta i contenuti legislativi in discussione. Alcuni ritengono che questo sia il giusto tributo da pagare alla democrazia.Ma come comportarsi con una credenza basata su aspirazioni di tipo monopolistico? Ad esempio quella di un partito “settario”. Basterà - ammesso che sia giusto - escluderla dal gioco procedurale?
I contestatori, come nel caso Bonanni, per dirla tutta, mostrano di fregarsene delle procedure…. Forse perché si sentono esclusi.
Di qui il pericolo del “colpo di forza”, al culmine ovviamente di un’escalation. Perché l’escluso, o presunto tale, conferma e dà voce alla propria identità attraverso il conflitto nei suoi vari gradi di intensità, fino alla vittoria, alla sconfitta o all’ “armistizio che prelude alla democratizzazione “procedurale” dell’ escluso.
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Il dilemma della democrazia
Purtroppo, siamo davanti al più noto dilemma della democrazia moderna. Una democrazia illuminata e discorsiva che ha tentato di sostituire, almeno sul piano interno, alla forza il ragionamento; alla decisione imperativa la mediazione procedurale.Mediazione che purtroppo non sempre può essere condivisa da tutti e che spesso viene accettata strumentalmente dai partiti “settari”, soltanto per agguantare il potere. Di solito, i “settari” rischiano di rendere necessario, da parte dei “tolleranti”, l’uso difensivo della forza. Ma come definire una forza politica “settaria”? Basterà la sua volontà, pubblicamente espressa, di non rispettare le regole della democrazia liberale procedurale?No. Un intervento repressivo potrebbe essere giustificato solo “se e quando” il “settario” si trasformasse in terrorista.
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Il “tasso di democraticità”
Perciò lasciamo che i Bonanni italiani vengano fischiati anche in futuro? Non è facile rispondere. Come stabilire con sicurezza il tasso di “democraticità” dei fischiatori? Fischiare non è argomentare, ma non è neppure sparare… Il discrimine può essere rappresentato da quanto sia messa a rischio l’incolumità fisica del “fischiato”. Valutazione che spetta agli organizzatori e alle forze di polizia, se presenti. I problemi però non finiscono qui. Perché coloro che sono pronti a reprimere in nome della democrazia, a loro volta, possono essere monopolisti della forza legale (perché al potere), ma non di quella legittima (perché possono non godere del consenso della maggioranza dei cittadini). Esistono, infatti, anche le finte democrazie. Ma chi decide circa la qualità della democrazia? Gli elettori. Ma se gli elettori, ingannati, a loro volta errano?
Insomma, anche per i “democratici” e i “tolleranti” vale lo stesso discorso che si è fatto a proposito dei “settari”. Come stabilirne con sicurezza il “tasso di “democraticità” e “tolleranza”?

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Nessuno è perfetto
Inoltre, si tratta di valutazioni e decisioni che devono essere fatte e prese in situazioni storiche spesso tumultuose. Perché legate, ad esempio, alle condizioni economiche, politiche e culturali, all’ abilità dei capi, all’amore per la libertà di un popolo e a fattori minori e contingenti, come il “tasso di democraticità” delle forze di polizia e della magistratura:
Il che significa che la qualità democratica di un sistema politico è frutto di circostanze storiche: una specie di lotteria… E che la tolleranza spesso è stabilita dai vincitori o dia più forti. I quali impongono una “propria” idea di tolleranza, che di regola penalizza o rimuove le ragioni dei vinti. Di qui spesso l’accusa di ipocrisia, ovviamente da parte degli sconfitti.
Per contro, dove domina una dittatura monopartitica, di tolleranza ce ne sarà poca. Certo, spesso la tolleranza rischia di sfociare nell’ipocrisia. Concludendo, per dirla con Bernanos: “Le democrazie non possono fare a meno di essere ipocrite più di quanto i dittatori possano fare a meno di essere cinici”.
Insomma, nessuno e perfetto. Ma probabilmente argomentare è sempre meglio che fischiare. Per non dire di altro. O no?

Carlo Gambescia

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