Italia "invertebrata"
Italia invertebrata? L’espressione non è nostra ma di José Ortega y Gasset. Che
in un libro, scritto nel 1920 (España
invertebrada), addossò la responsabilità della decadenza spagnola
ai conservatori poco illuminati, senza per questo risparmiare la sinistra
invece accecata dai lumi del progresso. Si dirà ma che c’entra una Spagna che
sarebbe entrata di lì a qualche nel vortice di fuoco della “guerra civile”, del
franchismo, con la crisi italiana? Dove si discute fiaccamente di bipartitismo
alla camomilla e si ridacchia di scandali e scaldaletti politici?
C’entra. E in un senso preciso: mancanza di “spina dorsale” Detto altrimenti, e
in sociologhese: di solidarietà nazionale (verticale) e sociale (orizzontale).
Qui sono tutti contro tutti. Proprio come nella Spagna di Ortega, frammentata
in mille separatismi regionali, politici e sociali. Certo, quelle erano
“fratture” novecentesche fortemente ideologizzate, oggi ci muoviamo in un
contesto diverso E se non deideologizzato, di sicuro più soft: meno Marx, più
Apicella e Ivano Fossati.
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Bipolarismo alla frutta
Scherziamo, ma fino a un certo punto.
Sotto questo aspetto che cosa accadrebbe nell’ “Italia invertebrata,” se il
Centrosinistra e il Centrodestra si sciogliessero come neve al sole?
Di sicuro, il “Neo-Centrismo” di Casini e Rutelli perderebbe la sua funzione di
“grande moderatore” tra i due poli. Per tornare a tenere insieme l’Italia dal
Centro, grazie a una nuova DC”, serve un “nemico esterno” come negli anni della
Guerra Fredda. Che oggi potrebbe essere l’Islam fondamentalista… Ma, per dirla
con lo Stalin che irrideva l’inesistente forza militare di Pio XII, su quante
divisioni contano gli scalcinati Talebani?
Più interessante è il discorso su che cosa ne sarebbe dell’attuale schieramento
politico.
A sinistra, in caso di disgregazione dei Democratici dove finirebbero i voti?
Probabilmente, in parte a un PD, tornato ad essere la vecchia “Quercia” in
parte a Di Pietro e Grillo, ma anche a Vendola e ai post-comunisti. Avremmo
però quattro alberelli, litigiosissimi fra di loro… A destra, la situazione
potrebbe essere ancora più devastata e devastante. Perché di alberelli
potrebbero nascerne il doppio, se non il triplo: i “berlusconiani d.o.c”, i
“cicchitttiani”, i quagliariellani”, “i larussiani”, i gasparriani”, e altri
cespugli. Ovviamente i finiani. E ancora a più destra, Storace, Forza Nuova, e
chi più ne ha ne metta… Infine la
Lega , tosto baobab padano.
Insomma, saremmo davanti a un quadro generale frastagliato, se non del tutto
aggrovigliato.
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Elettori allo sbando
Come reagirebbe l’elettorato? Molto, dipende
dalla legge elettorale scelta e dalla possibilità di accorpamento (legata a una
soglia minima: il 5%?). Di sicuro gli italiani stufi da sempre - quelli che non
votano da anni - non tornerebbero a infilare la scheda dell’urna. Inoltre ai
non votanti “stabilizzati” andrebbero ad aggiungersi i “disgustati” dell’ultima
ora: quelli messi a tappeto dalla fine del bipolarismo.
Morale della favola: lo torta-elettori potrebbe scendere sotto il cinquanta per
cento. E ad avere la meglio elettoralmente sarebbero le forze politicamente più
caratterizzate, magari su un tema particolare: ad esempio, il federalismo
(Lega); giustizia (Di Pietro e Grillo), anticomunismo - sì proprio così
(Berlusconiani d.o.c), identità nazionale (“La Destra ” di Storace),
Diritti civili (Vendola). Vediamo invece piuttosto male la sorte dei finiani,
una volta privati della ragione (lo strapotere di Berlusconi) di un cavilloso,
spesso comico, contendere, nonché di altri gruppetti a sfondo personalistico,
provenienti dal PdL, ma privi di leader carismatici o adeguati… Oddìo
rinunciare a Cicchitto e Bocchino che si “beccano” quotidianamente come i
capponi di Renzo, non sarebbe poi una grande perdita…
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Il tecnocrate sul tetto
Dove potrebbe condurre tutto ciò? Gli
animali invertebrati (insetti e vermi) non vivono a lungo. Probabilmente un’
Italia prigioniera dei ricatti di una folla di micropartiti, affamati di
potere, cadrebbe nelle mani dei poteri veri: quelli che contano, economici,
nazionali e internazionali.
Potremmo allora assistere alla nascita di governi tecnici - altro che
“governicchi”- solidamente manovrati dall’esterno. In seno ai quali la
micropolitica dei “partiti Sette Nani” finirebbe per contare meno di zero.
Va detto - altra utile indicazione di Ortega - che quando la politica, si fa
“echinodermica” la parola passa ai pochi vertebrati rimasti. Nella Spagna dell’epoca
il potere passò ai militari e ai partiti ormai “militarizzati. La crisi
spagnola, anche per altre ragioni, sfociò nella guerra calda: quella civile,
Oggi invece in Italia, il potere passerebbe subito ai tecnocrati, o comunque ai
tecnici “puri”, quelli che svolazzano come pipistrelli sulla Banca d'Italia. Di
qui non “guerre calde” o “fredde” ma una bella immersione collettiva nella
dolciastra melassa delle cifre, della tabelle e dei conti che tornano, sempre e
solo, per quelli che Ernesto Rossi chiamava “i padroni del vapore”: i grandi
monopolisti economici privati, tra l’altro favorevoli, a delocalizzare o
importare mano d’opera dall’esterno. Sai che allegria per il lavoro italiano…
Con un’eccezione: la Lega.
Che , grazie alla sicura conservazione della fortissima base
locale, potrebbe puntare, in via definitiva sulla secessione. E così provocare
una controreazione politica unitaria... E vai con la guerra civile o quasi...
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Fantapolitica?
Concludendo: fantapolitica? Mica tanto.
Ortega chiudeva il suo profetico libro, parlando della necessità di lavorare di
scalpello, per “mettersi a forgiare un nuovo tipo di uomo Spagnolo”: Purtroppo
sarebbero serviti sessant’anni e una disastrosa “guerra civile”… Qui, in
Italia, tutti parlano parlano, ma poi se ne fregano, se ci si passa
l’espressione poco sociologica. E in più esiste una differenza con la Spagna di allora: la storia
prova che dalla guerra civile si esce, dalla dittatura pure, ma sulla
possibilità di sortire o meno dal vischioso potere dei tecnocrati, la storia
tace.
Perché allora infilarsi in
questo tunnel? Forse siamo ancora in tempo...
Carlo Gambescia
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