E’ possibile conciliare un’austera politica di bilancio con il welfare state?
Se si comprimono, a causa dei tagli, i diritti sociali dei cittadini, su quali
basi (ri)fondare il consenso? Può bastare un mercato distintoda un lavoro
sempre più a rischio? Perché un cittadino privo di diritti sociali dovrebbe
obbedire?
A questo domande la destra risponde puntando sul mercato e lo sviluppo e sulla
sicurezza di poter comunque controllare la protesta sociale (la “piazza”).
Mentre la sinistra, pur rivendicando, il valore dei diritti sociali (in
particolare la sinistra radicale), sembra puntare anch’essa sul mercato come
unico fattore di sviluppo. Infine sia la destra sia la sinistra, mostrando di
condividere il populismo in voga, condannano a gran voce sprechi e privilegi,
mettendo insieme alla rinfusa stipendi negati e macchine blu, diritti e privilegi…
Insomma, manca una risposta definitiva. Su tali basi resta perciò difficile
prevedere gli esiti politici e sociali della crisi economica in atto.
Sicuramente vanno escluse accelerazioni di tipo rivoluzionario. E per una
semplice ragione: mancano i rivoluzionari di professione e una potenza capace
di incarnare, sorreggere e praticare, anche se con correttivi nazionalistici,
il dettato rivoluzionario. Restano allora due
possibilità.
La prima: un passaggio alla società di mercato allo stato puro.
La prima: un passaggio alla società di mercato allo stato puro.
La seconda: un “barcamenarsi” tra welfare e mercato, cercando di non tirare
troppo la corda. Va invece escluso, almeno per ora, un ritorno alla società del
welfare.
Probabilmente nei prossimi cinque anni - perché, secondo gli economisti, tali
sono i tempi “tecnici” di durata della crisi - non assisteremo a grossi
cambiamenti. L’Occidente continuerà a barcamenarsi tra welfare e mercato,
seguendo le diverse tradizioni continentali e nazionali. E perciò senza minare
- non del tutto - le basi morali dell'obbedienza sociale.
Dicevamo, “non tirare troppo la corda”. Perché? Per sottolineare che una
caratteristica fondamentale del sistema capitalistico è l’elasticità. Un
fattore che ovviamente ha i suoi limiti. Ci spieghiamo meglio.
Mentre, dal punto di vista fisico, l’elasticità dei corpi consiste nel
riprendere più o meno completamente la forma e le dimensioni primitive una
volta cessata l’azione della forza che li ha deformati, da quello sociologico,
dal punto di vista dei “corpi sociali”, è invece difficile stabilire quando l’
”azione della forza deformatrice” cesserà definitivamente, nel caso quella
della crisi economica. Gli economisti, parlano di quattro o cinque anni. Ma
chissà… Visto che parliamo di corpi "sociali" non fisici, dove il
"fattore obbedienza" ha soprattutto basi morali. E del resto anche
l'elasticità, secondo la "fisica", ha un suo punto di rottura...
Pertanto, per ora, i cittadini continueranno ad obbedire. Per ora.
Carlo Gambescia
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