il “federalismo solidale"
Federalismo all’italiana? Ormai lo si è capito da un pezzo. Soprattutto quando
si parla di “federalismo solidale”… Una specie di misterioso ermafrodito
spuntato dagli abissi dei cervelli politici nostrani. Per metà donna (solidale
e sinuosa ) per metà uomo (centralista e sgraziato)…
Forse un trans? E magari proprio per questo alla Chiesa non piace… E invece no,
piace piace: il federalismo solidale, s’intende. Benché poi la Cei mostri di non voler
scontentare nessuno. Ad esempio, proprio ieri l’altro, i vescovi hanno cercato
di spiegare che cosa sia il “federalismo solidale”. Ma, dispiace dirlo, a singhiozzo.
Ci riferiamo al testo preparatorio della prossima “Settimana sociale”. Sorta di
“grande parade” del cattolicesimo italiano, che si terrà a Reggio Calabria nel
mese di ottobre. Un appuntamento che ha dietro di sé mesi di sinergie tra
gruppi associativi, diocesi e studiosi. E probabilmente per dare un giudizio
definitivo sulle valutazioni dei vescovi dovremo attendere le conclusioni dei
lavori di ottobre.
Ad ogni buon conto, secondo Monsignor Arrigo Miglio, Presidente del Comitato
scientifico-organizzatore della Settimana sociale, il federalismo non può
prescindere dall’ “adesione alla prospettiva del bene comune”. Fin qui tutto
bene. Nel testo poi si riconosce “come prioritario il problema di una
concezione” capace di “combinare con maggiore efficacia le istanze di
sussidiarietà e quelle di solidarietà che, non meno delle prime, degenerano non
appena sottratte ai vincoli di limiti chiari e responsabilità imputabili”.
Insomma sì al federalismo, però con la raccomandazione che “il Paese continui
ad essere solidale”. Ma in che modo?
Intanto, secondo la Cei ,
il mercato del lavoro dovrebbe muoversi verso “una combinazione di flessibilità
e sicurezza (flexicurity)”. Ottimo. Se non che poi si legge: “Necessariamente
declinata in funzione delle caratteristiche e dei vincoli specifici del
contesto italiano”. Che significa? Gabbie salariali, sì o no?
Inoltre, a proposito delle differenze fiscali tra Nord e Sud, non si comprende
se il Nord, dovrà continuare o meno a finanziare il Sud, dirottando quote delle
sue entrare fiscali, anche se in misura ridotta. Il documento, infatti, parla
solo di “un equilibrato modello italiano di federalismo fiscale”. Che vuol
dire?
Anche perché, si legge, che “dosi massicce di uniformità anche per i territori
fiscalmente autosufficienti”, potrebbero “rimettere in moto un meccanismo
centralistico che non fa crescere poteri e responsabilità, che rende un
servizio incerto al principio di solidarietà e dimentica i pregi sistemici del
principio di sussidiarietà”. Allora, che facciamo? Per sfuggire al
“centralismo”, ognuno per sé, Dio per tutti? Magari con la “speranzella” che la
sussidiarietà serva rilanciare le organizzazioni sociali cattoliche… Il che
potrebbe pure andare bene. Ma perché non dirlo con chiarezza? Certo poi
servirebbero “sussidi” privati, visto che la Chiesa non naviga nell’oro.
Infine, non del tutto chiara appare la posizione sulla questione sanità. Il
testo “richiama più in generale la necessità di garantire i livelli essenziali
delle prestazioni su tutto il territorio nazionale. Il diritto alla vita
diviene un esercizio retorico senza quello a un’adeguata assistenza sanitaria”.
Giustissimo. Salvo poi aggiungere, rimescolando le carte, che “si deve a ogni
costo evitare che questa ragione giustifichi il finanziamento dell’inefficienza
e della quota parassitaria dell’interposizione pubblica nei diversi territori”.
Sembra di sentire Draghi.
Insomma, si poteva fare di più.
Naturalmente, i nuovi democristiani di Fini hanno subito approvato, celebrando
il federalismo equilibrato - e zacchete! - solidale, racchiuso nel documento
Cei.
Il che deve far riflettere sulla nebbia - non solo in Val Padana - che avvolge,
e fittamente, la questione federalista in Italia.
Carlo Gambescia
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