venerdì 14 maggio 2010

La Cei
il “federalismo solidale"




Federalismo all’italiana? Ormai lo si è capito da un pezzo. Soprattutto quando si parla di “federalismo solidale”… Una specie di misterioso ermafrodito spuntato dagli abissi dei cervelli politici nostrani. Per metà donna (solidale e sinuosa ) per metà uomo (centralista e sgraziato)…
Forse un trans? E magari proprio per questo alla Chiesa non piace… E invece no, piace piace: il federalismo solidale, s’intende. Benché poi la Cei mostri di non voler scontentare nessuno. Ad esempio, proprio ieri l’altro, i vescovi hanno cercato di spiegare che cosa sia il “federalismo solidale”. Ma, dispiace dirlo, a singhiozzo.
Ci riferiamo al testo preparatorio della prossima “Settimana sociale”. Sorta di “grande parade” del cattolicesimo italiano, che si terrà a Reggio Calabria nel mese di ottobre. Un appuntamento che ha dietro di sé mesi di sinergie tra gruppi associativi, diocesi e studiosi. E probabilmente per dare un giudizio definitivo sulle valutazioni dei vescovi dovremo attendere le conclusioni dei lavori di ottobre.
Ad ogni buon conto, secondo Monsignor Arrigo Miglio, Presidente del Comitato scientifico-organizzatore della Settimana sociale, il federalismo non può prescindere dall’ “adesione alla prospettiva del bene comune”. Fin qui tutto bene. Nel testo poi si riconosce “come prioritario il problema di una concezione” capace di “combinare con maggiore efficacia le istanze di sussidiarietà e quelle di solidarietà che, non meno delle prime, degenerano non appena sottratte ai vincoli di limiti chiari e responsabilità imputabili”.
Insomma sì al federalismo, però con la raccomandazione che “il Paese continui ad essere solidale”. Ma in che modo?
Intanto, secondo la Cei, il mercato del lavoro dovrebbe muoversi verso “una combinazione di flessibilità e sicurezza (flexicurity)”. Ottimo. Se non che poi si legge: “Necessariamente declinata in funzione delle caratteristiche e dei vincoli specifici del contesto italiano”. Che significa? Gabbie salariali, sì o no?
Inoltre, a proposito delle differenze fiscali tra Nord e Sud, non si comprende se il Nord, dovrà continuare o meno a finanziare il Sud, dirottando quote delle sue entrare fiscali, anche se in misura ridotta. Il documento, infatti, parla solo di “un equilibrato modello italiano di federalismo fiscale”. Che vuol dire?
Anche perché, si legge, che “dosi massicce di uniformità anche per i territori fiscalmente autosufficienti”, potrebbero “rimettere in moto un meccanismo centralistico che non fa crescere poteri e responsabilità, che rende un servizio incerto al principio di solidarietà e dimentica i pregi sistemici del principio di sussidiarietà”. Allora, che facciamo? Per sfuggire al “centralismo”, ognuno per sé, Dio per tutti? Magari con la “speranzella” che la sussidiarietà serva rilanciare le organizzazioni sociali cattoliche… Il che potrebbe pure andare bene. Ma perché non dirlo con chiarezza? Certo poi servirebbero “sussidi” privati, visto che la Chiesa non naviga nell’oro.
Infine, non del tutto chiara appare la posizione sulla questione sanità. Il testo “richiama più in generale la necessità di garantire i livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale. Il diritto alla vita diviene un esercizio retorico senza quello a un’adeguata assistenza sanitaria”. Giustissimo. Salvo poi aggiungere, rimescolando le carte, che “si deve a ogni costo evitare che questa ragione giustifichi il finanziamento dell’inefficienza e della quota parassitaria dell’interposizione pubblica nei diversi territori”. Sembra di sentire Draghi.
Insomma, si poteva fare di più.
Naturalmente, i nuovi democristiani di Fini hanno subito approvato, celebrando il federalismo equilibrato - e zacchete! - solidale, racchiuso nel documento Cei.
Il che deve far riflettere sulla nebbia - non solo in Val Padana - che avvolge, e fittamente, la questione federalista in Italia.
Carlo Gambescia

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