Sulla "terza via" Sorel aveva torto
O riforme
O rivoluzione
O rivoluzione
Georges Sorel (1847-1922) è probabilmente uno dei
pensatori più controversi dell'intera storia del socialismo, in particolare per
le sue amicizie pericolose a destra, tra monarchici maurrasiani e altri vari
gruppi politici pre o criptofascisti. Fu anche un avversario ostinato di qualsiasi
forma di riformismo e un teorizzatore dell'azione diretta in campo sindacale e
politico, nonché simpatizzante al tempo stesso di Lenin e Mussolini. Al di là
di questi aspetti politici, certamente discutibili, del suo pensiero gli va
riconosciuta un certa profondità di analisi, soprattutto per aver intuito, già
all'inizio del Novecento, due fenomeni, particolarmente interessanti, e interni
allo sviluppo dei partiti e sindacati operai.
Dobbiamo a Sorel l'individuazione di due costanti
sociologiche nel riformismo socialista.
La prima è che il riformismo, se per un verso si traduce
in miglioramenti sociali, per l'altro produce una trasformazione, in senso secolare
( o se si preferisce materialistico), non solo dei quadri dirigenti, ma della
stesso movimento socialista ed operaio. Il problema, non è solo
"l'imborghesimento", ma la rinuncia a qualsiasi obiettivo, che non
sia rivolto al miglioramento materiale. Si finisce per ragionare, tutti, solo
nei termini della maggior quota di benessere perseguibile in un dato momento
storico.
La seconda è che il il riformismo, perpetua se stesso:
come ogni fenomeno sociale - e qui le sue osservazioni sono particolarmente profonde
- da mezzo finisce per trasformarsi in fine: se il riformismo (il mezzo) deve
costruire il socialismo (il fine), nel tempo si finisce per perdere di vista
quest'ultimo obiettivo, e il riformismo da mezzo diviene fine. Pertanto,
secondo Sorel, attraverso questo processo, i partiti e i sindacati socialisti,
rischiavano già ai suoi tempi di trasformarsi da strumenti rivoluzionari in
strumenti di conservazione dell'ordine esistente. Come poi è regolarmente
avvenuto.
Come rimedio, Sorel teorizzò - e questo molto prima di
Gramsci e Trotzskij (ci si riferisce a categorie sociologiche e non politiche o
di scolastica marxista) - una specie di rivoluzione permanente, da attuare
attraverso lo sciopero generale e il successivo controllo sindacale, altrettanto "permanente", dell'economia socialista ( su quest'ultimo punto la
teoria soreliana è piuttosto nebulosa, come del resto sul tipo di società che verrà dopo
la rivoluzione).
Un rimedio difficilissimo da attuare - e qui vengono fuori i
limiti del pensiero (sociologico) soreliano - perché il momento dello stato
nascente (dello sciopero rivoluzionario) non può sociologicamente durare
per sempre. Al Movimento deve seguire l'Istituzione: le società (socialiste,
liberali, eccetera), come lava incandescente, finiscono regolarmente per solidificarsi
in istituzioni che gestiscono, come dire, l'esistente, anche se introdotto
attraverso un processo rivoluzionario.
Quel che è impossibile insomma, non è la rivoluzione, ma
la "rivoluzione permanente". Non esiste un "riformismo
rivoluzionario". Esistono soltanto un "riformismo riformatore" e un "rivoluzionarismo
rivoluzionario".
Tertium non datur. Non è concessa una terza possibilità.
Almeno sociologicamente.
Carlo Gambescia
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