Dall'operaismo alla questione fiscale...
Mario Tronti e l'Ici
Non può non essere segnalato l'interessante articolo di
Mario Tronti, apparso sul Manifesto di mercoledì 10 maggio, come
anticipazione del numero in uscita di "Democrazia e diritto"
(fascicolo che ha per titolo Una legislatura da scrivere).
Ora, per discutere un pensiero, così ricco e articolato,
come quello di Tronti, sarebbe necessario maggiore spazio. Quindi nessuna
pretesa di compiutezza...
L'articolo intitolato, Il problema è la mela tutta
intera, si occupa del voto e soprattutto dell'Italia post-voto, ovviamente
dal punto di vista della teoria politica, così congeniale a Tronti.
A una prima parte, ampiamente condivisibile, dove il
filosofo, mette in luce l'assiomatica utilitaristica su cui si fonda la vita
sociale e politica italiana (a destra come a sinistra), ne segue una seconda
meno convincente. Ma è meglio procedere per gradi.
Secondo Tronti l'alta affluenza è spiegata dal fatto che
sarebbe sceso in campo "il popolo dei telespettatori, popolo politicamente
muto, non rilevabile nei sondaggi, non controllabile dagli exit poll. La novità
non è la mela spaccata, ma la mela intera che si lascia spaccare così. Con
l'ottimismo della volontà, si può vedere una attiva partecipazione democratica.
Col pessimismo dell'intelligenza, si vede una passiva mobilitazione di
massa".
Tronti è dalla parte dei pessimisti. Infatti ritiene che
abbia vinto l'Italia dell'antipolitica, degli slogan, del rapporto diretto coi
capi carismatici, dell'egoismo e dell' utilitarismo borghese contro le passioni
politiche del cittadino: "si è chiamati "a scegliere non l'interesse
pubblico, ma l'interesse privato. Scelgo chi mi fa pagare meno tasse, chi mi
toglie l'Ici dall casa", eccetera.
Secondo Tronti, e qui viene il punto debole e meno
convincente della sua analisi, il "guasto sta a monte", e sarebbe
dovuto al "dissolversi del legame di classe", nella "forma
organizzata che aveva assunto nel Novecento"; dissoluzione che "ha
aperto la via a processi selvaggi di privatizzazione, che nessuno sa più
controllare".
Ora, se quel che si legge può essere impeccabile dal
punto di visto dell'evoluzione del pensiero di Tronti... Il cui percorso, come
è noto, si dipana dall'operaismo alla difesa dello stato socialdemocratico,
come rivendicazione dell'autonomia del politico, all'interno del processo di
sviluppo del capitalismo, quale conflitto permanente tra irrazionalità
(economica capitalistica) e razionalità (le politiche sociali della classe
operaia come soggetto storico). Non lo è però, per riprendere il filo del discorso, da un punto di vista, come dire,
esterno, oggettivo...
Tronti critica le sinistre "post-comuniste e
post-socialdemocratiche" per avere sottovalutato gli aspetti
"restaurativi" (negativi) del processo dissolutivo. In realtà, le
cose non potevano andare diversamente. Il Novecento ha dimostrato che per la
sinistra ci sono state ( e in fondo ci sono) due possibilità: o il processo
rivoluzionario o la socialdemocratizzazione. Nel primo caso, i leninisti,
chiamiamoli così, hanno mostrato di non saper gestire il passaggio dal
movimento all'istituzione (la forma stato-socialista). Nel secondo caso i
socialdemocratici hanno gestito l' istituzione esistente (la forma
stato-liberaldemocratico) . Il leninista ha rifiutato il capitalismo, ma non lo
sviluppo sociale. Il socialdemocratico ha accettato il capitalismo, cercando di
modificarlo dall'interno, introducendo elementi di sviluppo sociale (gli
"aspetti apparentemente innovativi" delle liberaldemocrazie, di cui
parla Tronti). La questione è che, una volta accettata la "socialdemocratizzazione"
e dunque lo scambio (dissolversi del legame di classe in cambio di consumi e assistenza
sociale) gli aspetti innovativi finiscono per confondersi con quelli negativi.
Tutto diventa una questione, e a maggior ragione per le sinistre
"post-comuniste e post- socialdemocratiche" (ideologicamente
debolissime) di "utilitarismo sociale": di danni massimi e di minimi;
di contabilità dei caduti e feriti nelle guerre di mercato. E infine di Ici.
La via operaista, né completamente leninista né
compiutamente socialdemocratica, auspicata da Tronti negli anni Sessanta, che
doveva tenere separato, ciò che il capitalismo, almeno ideologicamente, si
proponeva di continuare a tenere unito (il rapporto capitale-lavoro, e le sue
contraddizioni), non poteva dunque portare da nessuna parte. La mela del
capitalismo non poteva e non può non restare divisa. Paradossalmente la sua
forza è proprio nella "divisione" e nella promessa di salvezza
("riunificazione" sulla terra) della "Chiesa"
capitalistica", come nota lo stesso Tronti: l'una è funzionale all'altra.
E' perciò mancata la scienza, anche questa auspicata da
Tronti, e soprattutto la forte esaltazione di una morale operaia, invocata
da Georges Sorel più di un secolo fa, suscitando l' ironia di leninisti e
socialdemocratici... Sorel, non per niente fu attento studioso del
cristianesimo antico e delle modalità con cui i cristiani conquistarono Roma,
trasformandosi da movimento in istituzione. Un'istituzione, come nota con un
pizzico d'invidia lo stesso Tronti, che è lì "da venti secoli" mentre
"noi qualche decennio, e abbiamo chiuso bottega". Per parlare, e Tronti qui sarebbe d'accordo, solo di
Ici...
Carlo Gambescia
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