venerdì 12 maggio 2006

Dall'operaismo alla questione fiscale...
Mario Tronti  e l'Ici


l'ici e mario tronti


Non può non essere segnalato l'interessante articolo di Mario Tronti,  apparso sul Manifesto di mercoledì 10 maggio, come anticipazione del numero in uscita di "Democrazia e diritto" (fascicolo che ha per titolo Una legislatura da scrivere).
Ora, per discutere un pensiero, così ricco e articolato, come quello di Tronti, sarebbe necessario maggiore spazio. Quindi nessuna pretesa di compiutezza...
L'articolo intitolato, Il problema è la mela tutta intera, si occupa del voto e soprattutto dell'Italia post-voto, ovviamente dal punto di vista della teoria politica, così congeniale a Tronti.
A una prima parte, ampiamente condivisibile, dove il filosofo, mette in luce l'assiomatica utilitaristica su cui si fonda la vita sociale e politica italiana (a destra come a sinistra), ne segue una seconda meno convincente. Ma è meglio procedere per gradi.
Secondo Tronti l'alta affluenza è spiegata dal fatto che sarebbe sceso in campo "il popolo dei telespettatori, popolo politicamente muto, non rilevabile nei sondaggi, non controllabile dagli exit poll. La novità non è la mela spaccata, ma la mela intera che si lascia spaccare così. Con l'ottimismo della volontà, si può vedere una attiva partecipazione democratica. Col pessimismo dell'intelligenza, si vede una passiva mobilitazione di massa".
Tronti è dalla parte dei pessimisti. Infatti ritiene che abbia vinto l'Italia dell'antipolitica, degli slogan, del rapporto diretto coi capi carismatici, dell'egoismo e dell' utilitarismo borghese contro le passioni politiche del cittadino: "si è chiamati "a scegliere non l'interesse pubblico, ma l'interesse privato. Scelgo chi mi fa pagare meno tasse, chi mi toglie l'Ici dall casa", eccetera.
Secondo Tronti, e qui viene il punto debole e meno convincente della sua analisi, il "guasto sta a monte", e sarebbe dovuto al "dissolversi del legame di classe", nella "forma organizzata che aveva assunto nel Novecento"; dissoluzione che "ha aperto la via a processi selvaggi di privatizzazione, che nessuno sa più controllare".
Ora, se quel che si legge può essere impeccabile dal punto di visto dell'evoluzione del pensiero di Tronti... Il cui percorso, come è noto, si dipana dall'operaismo alla difesa dello stato socialdemocratico, come rivendicazione dell'autonomia del politico, all'interno del processo di sviluppo del capitalismo, quale  conflitto permanente tra irrazionalità (economica capitalistica) e razionalità (le politiche sociali della classe operaia come soggetto storico).    Non lo è però, per riprendere il filo del discorso,  da un punto di vista, come dire, esterno, oggettivo...
Tronti critica le sinistre "post-comuniste e post-socialdemocratiche" per avere sottovalutato gli aspetti "restaurativi" (negativi) del processo dissolutivo. In realtà, le cose non potevano andare diversamente. Il Novecento ha dimostrato che per la sinistra ci sono state ( e in fondo ci sono) due possibilità: o il processo rivoluzionario o la socialdemocratizzazione. Nel primo caso, i leninisti, chiamiamoli così, hanno mostrato di non saper gestire il passaggio dal movimento all'istituzione (la forma stato-socialista). Nel secondo caso i socialdemocratici hanno gestito l' istituzione esistente (la forma stato-liberaldemocratico) . Il leninista ha rifiutato il capitalismo, ma non lo sviluppo sociale. Il socialdemocratico ha accettato il capitalismo, cercando di modificarlo dall'interno, introducendo elementi di sviluppo sociale (gli "aspetti apparentemente innovativi" delle liberaldemocrazie, di cui parla Tronti). La questione è che, una volta accettata la "socialdemocratizzazione" e dunque lo scambio (dissolversi del legame di classe in cambio di  consumi e assistenza sociale) gli aspetti innovativi finiscono per confondersi con quelli negativi. Tutto diventa una questione, e a maggior ragione per le sinistre "post-comuniste e post- socialdemocratiche" (ideologicamente debolissime) di "utilitarismo sociale": di danni massimi e di minimi; di contabilità dei caduti e feriti nelle guerre di mercato. E infine di Ici.
La via operaista, né completamente leninista né compiutamente socialdemocratica, auspicata da Tronti negli anni Sessanta, che doveva tenere separato, ciò che il capitalismo, almeno ideologicamente, si proponeva di continuare a tenere unito (il rapporto capitale-lavoro, e le sue contraddizioni), non poteva dunque portare da nessuna parte. La mela del capitalismo non poteva e non può non restare divisa. Paradossalmente la sua forza è proprio nella "divisione" e nella promessa di salvezza ("riunificazione" sulla terra) della "Chiesa" capitalistica", come nota lo stesso Tronti: l'una è funzionale all'altra.
E' perciò mancata la scienza, anche questa auspicata da Tronti, e soprattutto la forte esaltazione di una morale operaia, invocata da Georges Sorel più di un secolo fa, suscitando l' ironia di leninisti e socialdemocratici... Sorel, non per niente fu attento studioso del cristianesimo antico e delle modalità con cui i cristiani conquistarono Roma, trasformandosi da movimento in istituzione. Un'istituzione, come nota con un pizzico d'invidia lo stesso Tronti, che è lì "da venti secoli" mentre "noi qualche decennio, e abbiamo chiuso bottega". Per parlare, e Tronti qui sarebbe d'accordo, solo di Ici... 

Carlo Gambescia

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