La fabbrica delle passioni
Calcio
Quel che sta (ri)accadendo nel mondo del calcio italiano
può suscitare due tipi di di reazioni.
La prima di natura morale (o peggio moralistica) di
condanna della corruzione e dell'affarismo che vi imperano, in nome del
"ritorno" a una mitica età dell'oro. Dove finalmente si giocherà non
per vincere ma per il piacere di partecipare, e nel più totale rispetto
dell'avversario e delle regole.
La seconda è invece di natura più profonda e impegnativa:
cercare di capire perché periodicamente il mondo del calcio, mediatizzato e
globalizzato di oggi, dia il peggio di sé.
In primo luogo, corruzione c' è sempre stata, basta
sfogliare qualsiasi storia del calcio, non solo italiano... Nella stessa misura
lo sport (calcistico) novecentesco è segnato dall'ascesa e dal consolidamento
del professionismo. Una società fondata sulla divisione capitalistica del
lavoro, come la nostra, ha funzionalmente bisogno di attori sociali capaci di
svolgere , ciascuno nel suo campo, e dunque "professionalmente", il
proprio lavoro. Il che implica valori di riferimento ( ciò che buono e cattivo
per e nel calcio), istituzioni di gestione e controllo (squadre
professionistiche, tornei organizzati, dirigenze specializzate, giustizia
sportiva, eccetera). E infine un processo di selezione di giocatori, dirigenti,
arbitri (delle élite: dai calciatori al funzionariato sportivo), come avviene
di regola in tutti i gruppi sociali.
In secondo luogo, e questo è il dato interessante, il
calcio ha sempre più svolto una funzione sostituitiva sul piano delle
"passioni sociali" collettive. Può sembrare banale ma ha funzionato,
e in misura crescente, soprattutto nel secondo dopoguerra, come fabbrica di
nuovi valori e comportamenti collettivi (per usare la terminologia di
Moscovici). Meno pericolosi, meno vendicativi, di quelli politici...
Gradualmente il calcio, in particolare dagli anni Sessanta, è però diventato
non solo strumento di evasione dalla realtà, ma quasi la realtà stessa.
Processo che, dopo la parentesi del Sessantotto, si è accentuato negli anni
Ottanta, con la ripresa della globalizzazione economica e della conseguente
mediatizzazione pubblicitaria della vita sociale, e dunque anche dello sport, e
in particolare del calcio.
Mancano analisi precise, ma sembra che oggi il calcio,
come argomento di conversazione, preceda la politica e il lavoro. Il che
comprova (almeno tendenzialmente) come il calcio stia sostituendo la realtà. Il
fenomeno del cosiddetto tifo sportivo politicizzato da gruppi di estremisti, è
un altro segno della "mutazione" in atto: non indica infatti un
ritorno della politica, come movimento sociale negli stadi, ma l'esatto
contrario: la fine della politica come passione collettiva, come desiderio di
cambiare il mondo, tipico di ogni autentico movimento collettivo.
Come hanno influito sul calcio (non solo italiano) la
mediatizzazione e la globalizzazione economica? Ovviamente si tratta di un
processo in corso: la mediatizzazione ha posto il calcio al centro della vita
delle persone, trasformandolo, come si è detto, in fabbrica delle passioni; la
globalizzazione ha trasformato le società di calcio - come qualsiasi altra
impresa economica (come prova la nascita delle spa e l'ingresso in Borsa) ) - in
macchine per competere e vincere a tutti costi: il calcio, dunque, come
"fabbrica delle vittorie" a qualunque "prezzo". Soprattutto
quest'ultimo fenomeno - sul quale ovviamente ha influito anche il calcio
"fabbrica delle passioni" - ha provocato una diversa selezione del
personale dirigente che ha condotto al potere personaggi privi di scrupoli come
quelli che ora sono sulle prime pagine dei giornali.
Il calcio come fabbrica delle passioni e delle vittorie
rappresenta oggi il nuovo universo di valori (sulle cui basi si decide appunto
quel che è buono e cattivo per e nel calcio: chi vince e bravo, buono, giusto,
bello, eccetera, mentre chi perde non lo è...). E le élite del calcio, una
volta messo da parte Moggi, continueranno a essere scelte sulla base degli
stessi valori, comportamenti e moventi mediatici ed economici.
Perciò per il momento è meglio rassegnarsi. Il calcio di
oggi esprime una precisa fase della globalizzazione capitalistica. E fin quando
durerà questa fase ( e i valori, comportamenti e moventi che esprime) la
situazione difficilmente cambierà.
Carlo Gambescia
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