La lezione di Hirschman
Passioni e/o interessi?
In un libro, tradotto in Italia da Feltrinelli, circa
trent'anni fa, Le passioni e gli interessi, Albert O. Hirschman (nella foto),
economista, sociologo, storico delle idee, mise magnificamente a fuoco il
principio intorno al quale girava, e gira, la politica moderna: l'interesse.
Hirschman non sottovaluta il ruolo svolto dalle
motivazioni materiali in altre epoche storiche, ma sostiene che i moderni siano
stati gli unici nella storia a teorizzare sistematicamente, la
"naturalità" dell' interesse come spontanea e benefica. Non solo: ma
anche i soli che abbiano presentato come una necessità politica, economica e
sociale la sostituzione dell 'egoismo calcolato all' altruismo appassionato...
Hirschman ricostruisce la genealogia storico-culturale
del moderno concetto di interesse, indicando gli autori che tra il Cinquecento
e il Settecento (grosso modo da Machiavelli a Smith), ne avrebbero giustificato
il ruolo positivo nella vita sociale, economica e politica.
Stando alla sua ricostruzione due fattori avrebbero
giocato un ruolo determinante: a) la tesi della forza pacificatrice degli
interessi; nel senso che mentre lo scontro tra le passioni (anche tra due
altruismi opposti...) può provocare conflitti, il misurato calcolo degli
interessi in gioco, può evitarli o comunque facilitarne la soluzione; b) la
capacità dei moderni di poter tradurre, grazie alla diffusione del denaro
moderno, l'interesse in termini di guadagni e perdite monetarie, oggettivamente
quantificabili.
Hirschman, pur dicendo cose interessanti, sopravvaluta la
forza pacificatrice del capitalismo, da lui presentato come il naturale sbocco
di una società fondata sull'interesse.
In realtà, qual è oggi il vero problema ? Che il
capitalismo, o comunque una certa forma di "capitalismo realizzato",
come cultura degli interessi, non riesce più a svolgere - se mai c'è riuscito -
alcun ruolo di pacificazione sociale. Di qui la necessità, avvertita da molti,
di ricostruire una cultura delle passioni. Ma come tornare alla cultura della
solidarietà? La cosa non è facile. Perché sussistono due rischi.
In primo luogo, c'è il pericolo di sostituire al
"fondamentalismo" degli interessi il "fondamentalismo delle
passioni. Col rischio di scontrarsi con la realtà delle istituzioni, del vivere
concreto, che si muove lungo le linee più prosaiche dei piccoli calcoli
quotidiani. A dirla rozzamente: come introdurre la cultura dell'altruismo e
della solidarietà nell'agire istituzionale?
In secondo luogo, c'è un altro, rischio legato al
precedente: quello rappresentato dall'intellettuale idealista, figura piuttosto
nota, che in genere appena scopre che l'uomo spesso preferisce farsi guidare
più dai propri interessi che dalle nobili passioni si propone subito di
educarlo alla libertà dagli interessi, favorendo, magari a "fin di
bene", forme politiche coercitive.
Insomma, non basta essere contro la cultura degli
interessi, così ben descritta da Hirschman. E' necessario, pur non rinunciando
a contrastarla, soppesare le conseguenze sociali, economiche e politiche, di
ogni critica intellettuale alla società capitalistica.
Le parole degli intellettuali, purtroppo, spesso possono
trasformarsi in pietre.
Carlo Gambescia
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