Il libro della settimana: Max Weber, La scienza come professione - La politica come professione, Mondadori, Milano 2006, pp. LXXXIV.138, Euro 7,80.
http://www.ibs.it/code/9788804551805/weber-max/scienza-come-professione.html |
Chiunque voglia comprendere la natura del rappporto tra
politica e scienza non può prescindere dalla lettura delle due famose
conferenze di Weber, da lui tenute a Monaco nel 1917-1919, ora ripubblicate
negli Oscar Mondadori, e introdotte da Massimo Cacciari: La scienza come
professione - La politica come professione.
Vanno subito segnalati due punti interessanti, e dunque
degni di riflessione.
Il primo è che per Weber lo scienziato “per professione”, deve mantenersi al di sopra della mischia: può scegliere, sulla base dei propri valori, un tema di ricerca, ma se i poi fatti dovessero contraddire le sue ipotesi, non gli resterebbe che modificare queste ultime. Un professore, se non vuole trasformarsi in demagogo, deve indicare allo studente solo le alternative e le conseguenze di ogni azione politica: “Se volete questo o quell’altro scopo, allora dovete mettere in conto questa o quell’altra conseguenza concomitante”, eccetera (p.40). La scienza, nota ancora Weber, è al “servizio dell’autoriflessione e della conoscenza di connessioni oggettive, e non un dono grazioso di visionari e profeti, dispensatrice di beni di salvezza e di rivelazioni” (p.42).
Il primo è che per Weber lo scienziato “per professione”, deve mantenersi al di sopra della mischia: può scegliere, sulla base dei propri valori, un tema di ricerca, ma se i poi fatti dovessero contraddire le sue ipotesi, non gli resterebbe che modificare queste ultime. Un professore, se non vuole trasformarsi in demagogo, deve indicare allo studente solo le alternative e le conseguenze di ogni azione politica: “Se volete questo o quell’altro scopo, allora dovete mettere in conto questa o quell’altra conseguenza concomitante”, eccetera (p.40). La scienza, nota ancora Weber, è al “servizio dell’autoriflessione e della conoscenza di connessioni oggettive, e non un dono grazioso di visionari e profeti, dispensatrice di beni di salvezza e di rivelazioni” (p.42).
Il secondo punto è che l’esercizio della “la politica
come professione”, impone di credere fermamente nei valori (“etica dei
principi”) e di saper padroneggiare le situazioni prevedendo le conseguenze
delle proprie azioni (“etica delle responsabilità”). Perciò, scrive Weber, “
l’etica dei principi e l’etica della responsabilità non costituiscono due poli
assolutamente opposti, ma due elementi che si completano a vicenda e che
soltanto insieme creano l’uomo autentico, quello che può avere la ‘vocazione
per la politica’ “ (p. 133). E come si distingue il vero politico? Dal fatto
che non è disposto a cedere “anche se il mondo (…) è troppo stupido o volgare
per ciò che egli vuole offrirgli”. E’ colui che sconfitto dice: “Non importa
andiamo avanti” (135).
Quanto alla lunga introduzione di Massimo Cacciari, va
detto che al filosofo-sindaco, sfuggono le basi sociologiche del pensiero
weberiano. Weber è un pluralista: per il sociologo tedesco la società è frutto
del complesso equilibrio tra forze sociali differenti . Politica e scienza, se
correttamente intese, devono rispettare, a prescindere dai contenuti di verità
difesi dalle diverse forze sociali, l'equilibrio pluralistico della società.
Pertanto, la tesi cacciariana sul valore tragico della scelta in Max Weber, non
riguarda "ogni singola scelta" (del politico, dello scienziato, ecc.
) ma la preservazione dell'equilibrio pluralistico della società. Una volta
accettato il pluralismo (ecco la "grande scelta" che Weber impone a
politici e scienziati), ci si può anche dividere, e laicamente (senza quel
pathos, enfatizzato da Cacciari...), su tutto il resto.
Il punto non è secondario, perché se si accetta la tesi
di Cacciari, e si sottovaluta, come dire, il pluralismo a priori weberiano, si
rischia poi di mettere Weber sullo stesso piano di pensatori socialmente
monisti, e decisionisti, come Carl Schmitt, per i quali il politico, come
scelta, conflitto e decisione viene prima del pluralismo sociale, e che
comunque non ha come compito la sua preservazione. Mentre in Weber è
l'accettazione del pluralismo sociale che deve precedere la scelta. Il che spiega perché Weber, a differenza di Carl Schmitt,
sia ancora oggi apprezzato dalla cultura liberaldemocratica.
Carlo Gambescia
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