In Italia ci sono rivistine e gruppetti politici che addirittura inneggiano agli Houthi. Li si può rivenire, addirittura fuori dai cassonetti della storia, gettati in terra alla rinfusa, tra neofascisti, neocomunisti, eccetera, eccetera.
Purtroppo, antiamericanismo e antioccidentalismo, che a dire il vero costituiscono il normale bagaglio culturale di non pochi studiosi di geopolitica (“scienza”, rifondata dai nazisti, mai dimenticarlo), fanno velo. A che cosa? All’ esatta comprensione di ciò che è in gioco nel Mar Rosso.
Ovviamente, non si tratta della pace mondiale, come sostengono i pacifisti. Né di Gaza, “aggredita” dai “nazisti” israeliani, come sostengono i filopalestinesi di tutti i colori.
In realtà è in gioco un’altra cosa, di cui l’Occidente si vergogna di parlare, perché culturalmente vittima della teoria postcoloniale, che divide la storia moderna in due fasi, prima e dopo il colonialismo occidentale. Per inciso, ideologia postcoloniale e ideologia woke (ultimo ritrovato della farmacopea ugualitarista e antistorica) sono pressoché la stessa cosa.
Parliamo di una ideologia, quella postcoloniale, che dipinge l’espansione marittima, prima europea, poi euro-americana, come portato di un disastroso imperialismo e colonialismo. Per intendersi, gli ideologi postcoloniali sono quelli che raffigurano Cristoforo Colombo come un bieco mercante di schiavi.
In realtà, Cristoforo Colombo, seguito da altri grandi navigatori, fu il primo propugnatore, sicuramente di fatto, della libertà dei mari, poi reinventata e valorizzata, anche sul piano dottrinario e giuridico, da olandesi, britannici e statunitensi, ovviamente con il contributo di portoghesi, spagnoli, italiani.
Parliamo di un valore che è alla base della libertà di mercato e del decollo economico e politico dell’intero Occidente euro-americano. Qualcosa che ha cambiato il mondo e in meglio. Sul punto si vedano gli straordinari volumi dedicati all’età moderna nella eccellente Storia Universale (1948-1959) scritta da Jacques Pirenne.
In un celebre libro, Il Nomos della terra (1950), leccandosi le ferite provocate dai suoi stessi errori (anche i grandi pensatori sbagliano), Carl Schmitt, oppose le civiltà di terra alle civiltà di mare (lui, da buon ex nazista per caso, era dalla parte delle prime). Schmitt raffigurò la libertà dei mari, come un’ideologia che serviva a coprire gli interessi britannici e americani, e in parte lo era, per carità.
Oggi i seguaci della teoria postcoloniale, sebbene evitino di sottolinearlo, “proseguono” le idee di Schmitt con “altri mezzi”, di volta in volta differenti: dal terzomondismo al pacifismo , dal fondamentalismo religioso al fascismo islamico. Tutte idee forti, piacciano o meno.
Ora, qual è il punto? Che l’Occidente euro-americano, pur intervenendo nel Mar Rosso, puntando sull’ operazione “Prosperity Guardian”, frutto di una coalizione internazionale (di cui fanno parte, tra gli altri, anche Regno Unito, Francia, Italia, Spagna, Olanda, Norvegia, Australia e Seychelles), si comporta sul piano della difesa dei valori in modo dilettantistico, prestando così il fianco alle accuse di neocolonialismo. Altro che idee forti.
Invece di ribadire, chiaro e tondo, che nel Mar Rosso è in gioco la libertà dei mari, un pilastro culturale e giuridico per una civiltà dalle salde radici marinare come l’Occidente, si giustifica l’intervento evocando il solito “gnè-gnè”. Pensiamo alle lamentazioni sulla pace nel mondo, sulla necessità di favorire la soluzione della questione medio-orientale, sull’importanza di impedire “catastrofi ecologiche”, o comunque di favorire la “prosperity” di quel bambino fin troppo viziato che è il consumatore occidentale.
Insomma, ci si vergogna di ribadire un principio – la libertà dei mari – che ha fatto grande l’Occidente. Sul piano culturale, si è accettata, volontariamente o meno, la vulgata geopolitica schmittiano-terzomondista-fondamentalista, in sintesi post-coloniale, che riduce l’Occidente a un grumo di sporchi interessi. Sicché i missili Houthi sono dalla parte dei buoni, quelli dell’Occidente dalla parte dei cattivi.
E, si badi bene, quanto più l’Occidente accetta di parlare solo di interessi o di valori “gnè-gnè” (se ci si perdona la sbrigativa sintesi), rinnegando il principio fondamentale della libertà dei mari, tanto più fa il gioco del nemico, che continua a dipingere l’Occidente come un puzzolente bottegaio geopolitico.
E qui si ricordino le pagine di Taine, grande storico della Rivoluzione francese, sulla necessità, non solo di credere nei valori fondanti di una civiltà, ma di praticarli senza paura. Anche usando la spada. La cattiva pratica perse la rammollita aristocrazia francese. E fu un bene, perché il comando passò a una vigorosa borghesia conquistatrice. Fu un grande passo in avanti.
Per contro, oggi, in caso di cedimento dell’Occidente, si rischia di fare non un passo ma dieci indietro. Perciò nel Mar Rosso la posta in gioco è altissima. Che cosa si aspetta a capirlo?
Carlo Gambescia
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