domenica 18 febbraio 2024

Il criptofascismo di Marcello Veneziani

 


Un amico di sinistra (vota Fratoianni) ieri, ci ha  detto, arrivando però secondo: “Simpatica la battuta sul Veneziani-Dugin in ciabatte. Io però lo lascerei perdere, culturalmente è una nullità. Non ne vale la pena”.

In effetti Dugin qualche libro in più di Veneziani lo ha letto… E conosce le lingue. Poi il fascismo è un’invenzione tipicamente italiana come la pizza.

Al di là delle battute, è interessante seguire Veneziani perché è una specie di cartina tornasole che innanzitutto conferma il vittimismo della destra con radici fasciste: quel “piagnonismo” da nobiltà della sconfitta. Poveri innocenti! Hanno solo scatenato una guerra mondiale e una guerre civile. Veneziani però va seguito non solo per l’aspetto patetico e folcloristico, da moderno sbandieratore medievale, da sagra della salsiccia, però con l’orologio ultramoderno al polso.

Un errore, detto per inciso, che Dugin, sebbene russo, o forse proprio perché russo, non commetterebbe mai. Insomma, una cosa è essere consigliere d’amministrazione della Tradizione, come Dugin, un’altra consigliere di amministrazione della Rai. E Veneziani lo fu.

Insomma Veneziani va seguito perché è una specie di manuale vivente dell’intellettuale serra calda del fascismo. Come certe figure a colori di tossici pubblicate nei manuali della squadra narcotici.

Perché serra calda? Perché fascismo? Ci riferiamo alle analisi di Tarmo Kunnas, autore di uno studio (La tentazione fascista), quasi un’enciclopedia, sulle ambigue e pericolose interazioni tra antimodernità e cultura prefascista, negli anni tra Otto e Novecento, ma anche più in là, fino agli anni Trenta.

Uno studio in cui si evidenziano, voce per voce, quelle tematiche culturali che poi confluirono, recepite e riorganizzate, nel fascismo e nel nazionalsocialismo: disprezzo delle ideologie e culto dell’azione, visione negativa della natura umana, rifiuto del progresso, antiliberalismo antiegualitarismo, antimaterialismo morale, etnocentrismo. E ne elenchiamo solo alcune.

In Veneziani si ritrovano tutti i tic del criptofascista. Però, attenzione, non nel senso di un atteggiamento da fascista storico, nostalgico, che sogna di restaurare la dittatura così com’era. Si pensi invece a una serra calda, personale, individualizzata, riscaldata artificialmente, con combustibile antimoderno. Veneziani non ammetterà mai di essere fascista. E anche a ragione, perché è criptofascista. Però non crediamo non si renda conto della recita a soggetto. Insomma che improvvisi. Cioè che sia un fascista inconsapevole. Per caso.

Veneziani la sa lunga. Sa evitare le buche più dure. Sa benissimo di maneggiare nitroglicerina ideologica. E si regola di conseguenza. Da sessantanove anni.

Oggi per esempio scrive della cappa di conformismo che regnerebbe sulle nostre società (tra l’altro, ne ha fatto anche un libro). E su quale giornale? “La Verità”. Che ieri, sulla sua prima pagina, ha ignorato la morte di Navalny. Conformismo filorusso.

Eppure Veneziani, attacca la "cappa":  il conformismo "imposto"  dalla  sinistra, come se nulla fosse. Sale in cattedra, giocando sull’ignoranza storica dei più. Di quale ignoranza storica parliamo? Quella social ad esempio, ma anche mediatica, televisiva. Per capirsi, quella delle domande da talk show, tipo: “La politica economica del fascismo? Può essere un modello per l’Italia? Parliamone”. Così vanno oggi le cose. E Veneziani ci sguazza dentro.

In realtà, il vero problema, soprattutto italiano, è quello di non aver mai metabolizzato storicamente il fascismo in relazione al liberalismo: tradizione politica moderna, e per eccellenza. Non basta dire, come fa la sinistra, che il fascismo rappresenta il male assoluto. Si deve invece chiarire la sua natura antiliberale. Cosa che la sinistra non riesce a capire, perché profondamente antiliberale. Quasi come il fascismo.

Qual è allora il punto? Nella prima metà del Novecento, Ortega y Gasset, grande pensatore, criticò la modernità, ma rimase liberale. Lo stesso discorso può essere esteso a Croce, Ferrero, Mosca, Röpke e altri intellettuali liberali.

Cosa vogliano dire? Il punto di discrimine tra la critica della modernità e la tentazione fascista è rappresentato dall’opzione liberale. O di qua o di là. E Veneziani non è sicuramente liberale altrimenti si guarderebbe bene dall’enfatizzare, ciò che è accidentale, il conformismo di sinistra, non distinguendolo da ciò che invece è essenziale: il sistema liberal-democratico. Una grande “invenzione storica”, per dirla con Samuel Finer, che invece il fascismo voleva e vuole azzerare.

Concludendo, e per usare un’espressione scontata, Veneziani, dopo il bagnetto, getta acqua sporca e bambino. Lui resta di là. Qui il suo criptofascismo, qui la tentazione fascista, qui, il suo voler fare di tutta l’erba un fascio… E non si tratta di un nostro gioco di parole… Purtroppo.

Carlo Gambescia

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