Insomma, si ripete, che fintanto che un giudice non lo condannerà, e in modo definitivo, le sue mani non si potranno considerare sporche del sangue di Alexei Navalny.
Sicché gli occhi di Navalny continueranno a fissare il vuoto. E chissà per quanto tempo ancora…
Si noti anche un’altra cosa: l’accento che di regola viene posto sulla figura di Putin, come per dire “Lui” è il cattivo, mentre tutti gli altri “ i Russi”, a cominciare dalla élite dirigente, sono i buoni. Questa tesi è sostenuta dai presunti liberali all’acqua di rose, cioè superficiali, di cui sopra. Sempre pronti a enfatizzare qualsiasi timida protesta popolare. Pur di non combattere e di andare d'accordo con tutti si costruisce un mondo fantastico. Si evade dalla storia. Ma questa è un'altra faccenda. Quella dei liberali Alice nel Paese delle Meraviglie. Una pena al giorno.
Per tornare a noi, sono gli stessi liberali all'acqua di rose che difendono il diritto di Salvini, apologeta e avvocato politico di Putin, a partecipare alla fiaccolata in Campidoglio di oggi in memoria di Navalny. Ovviamente in quest’ ultimo caso parleremmo di civetteria liberale. Comunque non meno pericolosa, solo perché va a caccia di farfalle sulle pagine di “Libero”.
Il liberalismo, quello vero, deve invece fare i conti con le grandi questioni strutturali. Che cosa intendiamo dire con il termine strutturale?
La Russia, per storia, cultura e tradizioni è un paese illiberale (non lo applica) e antiliberale ( lo combatte). E in questo senso, se si fanno collimare, liberalismo, modernità e Occidente, la Russia, nelle sue successive incarnazioni, zarista, comunista, populista marziale (militarista), è rimasta sempre nemica dell’Occidente.
Cosa che, tra l’altro, non ha mai nascosto. Del resto finora tutti i tentativi interni di “cambiamento” in chiave liberale sono miseramente abortiti. L’unica cosa che la Russia ha privilegiato dell’Occidente è la scienza per scopi militari, a far tempo almeno da Pietro il Grande (nato nel 1672 morto nel 1725). Quando la Russia incominciò ad emergere come potenza politica capace di incidere anche sulla storia europea.
Sotto questo aspetto, nonostante la vernice comunista (che ha perso colore da un pezzo), si potrebbe parlare di modernismo solo militare e reazionario per tutto il resto. O se si preferisce, per riferirsi all’Ottocento, di modernismo slavofilo, con acuminati spunzoni panslavisti e/o panrussi. Un minaccioso ossimoro politico riproposto ad esempio da Dugin, ideologo – dicono – putiniano. In realtà, ideologo russo, a tutto tondo, quindi antioccidentalista.
Siamo perciò davanti a un fatto strutturale, perché dura da almeno quattrocento anni. Sotto questo aspetto la storia delle prigioni russe, in particolare la velenosa ricetta del confinamento degli oppositori politici, ha accompagnato, con scarponi ferrati, le vicende dell’espansionismo russo a Oriente degli Urali verso la Siberia, fino allo stretto di Bering.
Su questo punto – “strutturale” – va letto il capolavoro di Solženicyn, di una tragica inportanza, anche sotto il profilo di una sconfinata tristezza esistenziale sulla vera natura del russo. Una grande opera che risponde al titolo di Arcipelago Gulag.
Detto altrimenti: il moderno diritto penale occidentale, profondamente liberale, nonostante i proclami, è restato in Russia lettera morta. E Navalny, al di là dei tempi e modalità materiali della sua morte (che comunque vanno accertati), non è che l’ultima vittima di questo “fatto strutturale”, legato, tra l’altre, all’azione di forze centripete, inclusive-esclusive, basate sulla dinamica amico-nemico e sulla conservazione del potere politico a ogni costo.
Pertanto un liberale non può non tenere conto di queste regolarità: del peso di ciò che denominiamo metapolitica.
Certo si può sostenere che una “dottrina” politica “universalista”, come il liberalismo, debba parlare a tutti. Anche a Putin e ai russi. E che quindi certi principi debbano valere per tutti, anche per i nemici. E che il popolo è una cosa, la élite dirigente un’altra. Altrimenti che principi sarebbero? Sicché per Putin, si consiglia di aspettare la sentenza di un giudice. Queste le conclusioni, fatte proprie, come detto, dai liberali all’acqua di rose.
Quando e come però ? Ecco il punto. Dopo una sconfitta militare? Come accadde per i nazionalsocialisti? Però gli stessi liberali profumati di cui sopra ritengono che i processi, come ad esempio Norimberga, siano processi politici, dei vinti sui vincitori. Quindi si dovrebbe parlare di vendetta e non di giustizia. Ciò però significa tirare la volata ai nemici del liberalismo.
Si rifletta. De facto dove porta questo ragionamento? Conduce al fatto, gravissimo, che un personaggio come Putin non potrà mai essere processato, né prima né dopo. A meno che lui stesso non decida liberalmente di sottoporsi a un processo. Cosa tragicomica e impossibile. Il che perciò non può non essere condiviso anche dai nemici veri e propri del liberalismo. Che ovviamente ringraziano.
Il valore dei principi, piaccia o meno, ha una valenza esistenziale. La valenza esistenziale rinvia ai “fatti strutturali”, studiati dalla metapolitica.
Ciò significa, per ricaduta, che sottovalutare la natura illiberale e antiliberale della Russia può essere molto pericoloso per l’Occidente. Nel senso che sostenere che i principi del liberalismo debbano essere estesi a tutti anche a chiunque consideri l’Occidente come nemico principale, può condurre all’autodistruzione dei principi difesi. E dell’Occidente
Il liberalismo non è nato a Nazareth, perciò non può consegnarsi, legato mani e piedi, ai suoi nemici. Non deve porgere l'altra guancia.
Perciò se vuole vivere, per alcuni, ora come ora, addirittura sopravvivere, deve essere al tempo stesso realista, metapolitico e all’occorrenza armato. Fino ai denti.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento