Abbiamo aspettato qualche giorno per dire la nostra sui tagli ai contributi e bonus alla Fiat, oggi parte del gruppo Stellantis, fusione tra i gruppi Fiat Chrysler Automobiles e PSA, con sede legale ad Amsterdam.
Si parla, solo per la Fiat, di circa di 10 miliardi ricevuti dal 1977 (*). Che dire allora? Come commentare la cosa? Uscendo fuori dal coro.
A giustificazione dei tagli governativi alle imprese straniere (comunque li si articoli, tecncamente: qui semplifichiamo) si evocano ragioni patriottiche: la necessità di concentrarsi, si dice, sui prodotti italiani. Il "pippone", se ci si perdona l'espressione, del chilometro zero. L'Italia chiamò, insomma.
In realtà i finanziamenti pubblici portano voti e, quando capita, tangenti politiche. Perciò saremo durissimi: il patriottismo, soprattutto se economico, è l’ultimo rifugio del voto di scambio, dei corrotti e degli sfaticati.
Per contro la buona economia concorrenziale insegna che siamo davanti a una cattiva abitudine statalista: quella di sprecare denaro pubblico per socializzare, inasprendo i tributi, le perdite dei privati, lasciando invece, che gli stessi privati individualizzino i profitti di impresa, per poi spennarli, quando e se capitano a tiro, dal punto di vista fiscale. Una specie di partita di giro. Anzi una presa in giro.
O meglio ancora: una specie di capitalismo al contrario. Che si trasforma in capitalismo di stato, quando lo stato oltre a finanziare acquisisce quote di aziende private. Un mostro dalle sette o più teste, secondo i ministeri interessati.
Pertanto ogni buon governo dovrebbe fare un passo indietro e soprattutto evitare tragicomici proclami nazionalisti per guadagnare voti e altre brutte cosette messe in luce da Tangentopoli.
Anche perché diventa inevitabile, una volta aperti i rubinetti del denaro pubblico che le stesse imprese private “italianissime” finiscano per approfittare del ben di dio messo a disposizione dallo stato, tramutando i profitti in rendite. Di qui, le cattive abitudine dei privati, incapaci nel tempo di rinunciare ai soldi tossici di stato. Alle gratificanti ma traditrici abitudini delle rendite sicure a fine anno… Insomma, roba da sfaticati.
Il che spiega le minacce di Stellantis, impresa straniera (secondo il nuovo puritanesimo sovranista), quindi punita dal governo, che da Amsterdam vede affacciarsi all’orizzonte pericolose crisi di astinenza da denaro pubblico.
Però il vero problema, non è quello della multinazionale (semplificando) che succhia denaro pubblico italiano, ma quello di una mentalità statalista, condivisa da destra e sinistra, che dà per scontato l’interventismo economico. Insomma, “l’aiutino” di stato.
Che male c’è? Ci si sente rispondere da togatissimi economisti. Invece il male c’è. Perché dal punto di vista concorrenziale, e in uno spazio economico globalizzato ( a meno che non si voglia tornare ai nazionalismi criminogeni degli anni Trenta del Nocecento), le imprese, italiane o marziane che siano, devono fare da sole.
I contributi di stato snervano le imprese, le inffiacchiscono come capitava ai mollicci imperatori romani della decadenza. Come del resto non giova al libero mercato qualsiasi forma di protezionismo insita ad esempio nel meccanismo, già in sé sbagliato (quindi errore nell’errore), di negare i finanziamenti alle imprese straniere.
Un quadro della situazione, non solo concettuale, completamente distorto: non esistono i buoni (lo stato che allatta e le imprese “italianissime” che suggono) e i cattivi (le multinazionali, semplificando).
Perciò - ecco che significa uscire fuori dal coro - quando Stellantis minaccia di chiudere e licenziare in Italia, e il governo replica che prenderà severe contromisure, tra gli applausi delle imprese “italianissime” (per non parlare delle retrive corporazioni sindacale), si deve pensare alle guerre di mafia. Regolamenti di conti tra cosche, un tempo alleate, ora all’improvviso entrate in contrasto per la spartizione del bottino.
Come uscirne? Chiudere i rubinetti. Per tutti, italiani e marziani.
Carlo Gambescia
(*) Si veda qui: https://www.panorama.it/economia/industria/fiat-ricevuto-soldi-stato . I dati citati nell’articolo di “Panorama” rinviano a un’indagine della Cgia di Mestre.
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