Che, per dirla alla buona, la sinistra ci marci, è una vecchia storia. Esiste una tradizione di conquista violenta delle istituzioni che risale alla Comune di Parigi (1871) e ancora prima alla presa della Bastiglia (1789). Modalità di azione sociale poi riprese a specchio nel Novecento dalle piazze turbolente e rivoluzionarie.
Questo per dire che i moderni movimenti di protesta, addirittura a far tempo dal luddisimo operaio (la distruzione di macchine, come i telai meccanici ad esempio, tra Settecento e Ottocento), fino al Sessantotto e oltre, sono sempre stati corrotti dalla violenza, rapsodica o meno.
Il fascismo, storicamente parlando, fu una reazione altrettanto violenta della destra contro l’azione violenta della sinistra. Si sostituì alle forze di polizia, giudicate troppo permissive. E manganellò a tutto spiano.
Pertanto, anche la destra, soprattutto se dai natali fascisti, quando condanna la sinistra per gli incidenti di piazza, ci marcia, nel senso di giustificare l’uso della violenza oggi istituzionale ieri extra-istituzionale, in chiave repressiva.
Ovviamente nel primo caso, invece di violenza si parla di uso legittimo della forza da parte delle istituzioni. Il famoso monopolio statale legittimo della violenza, secondo la definizione di Max Weber. Però, il Maestro ci perdonerà, se si può dire, sociologicamente parlando, che se non è zuppa è pan bagnato. Sempre di violenza si tratta. Cambiano solo i direttori, non la musica. E secondo alcuni, neppure l'orchestra.
E qui veniamo al valore simbolico del “manganello”, usato ieri dalla forze dell’ordine (si noti: "forze" dell'ordine), contro i manifestanti pro-Gaza, a Pisa e Firenze. Per quale ragione simbolico?
In primo luogo, perche riporta alla violenza fascista contro ogni tipo di contestazione sociale e manifestazione di opinioni contrarie al governo. Il manganello è segno di comando e di potere, si collega alla simbologia del fascio littorio, poi ripresa dal fascismo ( ma non solo, il fascio fu usato dai non teneri giacobini, sormontato dal berretto frigio). Una simbologia che risale all’antica Roma: il fascio di bastoni legati con strisce di cuoio, di regola con la scure, rivolto a simboleggiare il potere di vita e di morte sui rei, confessi o meno.
Sotto questo aspetto l’uso del manganello rappresenta l’esatto contrario del principio liberale e garantista dell’ “in dubio pro reo”, cioè che nel dubbio si deve giudicare in favore dell’imputato. Si chiama presunzione di innocenza. Insomma, detto altrimenti, scendere in piazza non è reato.
Per contro, il discorso si fa diverso quando il manganello viene usato in modo indiscriminato dalle "forze" dell’ordine (ma si parla anche di "forza pubblica") contro colpevoli e innocenti. Se ci si perdona il latino maccheronico,, il principio del manganello è quello che “in dubio” pro (botte) reo”. Si chiama presunzione di colpevolezza. Nel senso che scendere in piazza è reato.
In secondo luogo, oggi, grazie alle tecniche di riproduzione digitale, l’uso del manganello, è roba da età della pietra. Per capirsi: ieri sarebbe bastato contenere i quattro gatti di dimostranti, isolare digitalmente i pochi violenti, per poi identificarli ed eventualmente trasmettere gli atti al magistrato. Limitarsi a una tecnica funzionale, sicuramente di tipo liberale, perché rispettosa del principio garantista della presunzione di innocenza.
Il che significa che l’uso del manganello a Pisa e Firenze rinvia ad altre ragioni, di tipo simbolico come si diceva. La polizia, sentendosi con le spalle politicamente coperte dai nipoti e bisnipoti degli squadristi oggi al governo, ma anche come omaggio, per così dire, al Nuovo Ordine, ha voluto usare il manganello, in memoria dei vecchi tempi fascisti. Di qui il valore simbolico della violenza istituzionale, pardon “forza”, che ha avuto la meglio sul valore funzionale e garantista, favorito dalle tecniche digitali. Insomma, si poteva evitare.
Concludendo, brutti tempi.
Carlo Gambescia
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