Altro che felicitarsi per Macron (che, comunque sia, meglio lui che i fascisti). Gli analisti dovrebbero interrogarsi sul perché in Francia due forze antisistemiche, antiliberali e anticapitaliste, di segno opposto, capitanate da Marine Le Pen (24,3%) e Jean-Luc Mélenchon (21 %) , anzi tre, inclusa l’estrema destra di Zemmour (7 %), hanno totalizzato oltre il 50 % dei voti.
Si dice che la gente sia stanca, non solo in Francia, del “politicamente corretto” in tutti i campi, dai diritti civili per pochi referenziati al soffocante controllo sociale per tutti come durante l’epidemia, pardon pandemia.
La stessa gente che però lamenta, magari anche in chiave razzista, un posto di lavoro sicuro e possibilmente a vita. Che aspira a una transizione verde senza tuttavia un aumento dei tributi e dei vincoli ai consumi cosiddetti inquinanti.
Cosa vogliamo dire? Che le elezioni francesi provano lo stato confusionale in cui versano gli elettori.
Il voto antisistemico non rivela un malessere vero ma un malessere fittizio: con l’aria condizionata. Che rinvia a una frustrazione da mancata crescita dei consumi, penalizzati dalle inutili misure draconiane durante l’epidemia, pardon pandemia.
In questa frustrazione pescano voti i partiti “antisti”: quelli del no al sistema che promettono tutto a tutti e soprattutto il contrario di tutto. Se l’elettore è confuso, il partito “antista” gioca proprio su questa confusione. Anzi tenta di accrescerla. Se i populisti, di destra e sinistra, vincessero e governassero sarebbe un disastro. Non solo in Francia. In Italia, purtroppo, li abbiamo già visti all’opera con i governi Conte.
Pertanto la vera scelta politica rinvia a un progetto preciso. Quale? Come far uscire l’elettore dallo stato confusionale in cui versa. Attenzione, non è un problema clinico ma politico.
Si pensi a Macron. Il suo programma, per parlare difficile, rimanda all’illuminismo autoritario di un liberalsocialismo che pretende di sapere sempre ciò che sia bene per il cittadino. Il mandato a Macron, per coloro che lo votano, è in bianco. Il suo elettore non è confuso: si identifica decisamente con un liberalismo macro-archico, pedagogico, interventista, ecologista, con venature da socialismo della cattedra. Per fare un esempio, si pensi per l’Italia al lettore di “Repubblica” e “Stampa” che vota Partito democratico. Ma si rifletta anche sul sostegno di cui gode Draghi.
Il macronista (come pure il draghista) sa quel che vuole, il mélenchonista-lepenista no. E perciò una volta al governo sarebbero disastri.
Dicevamo di come recuperare l’elettore confuso. Due punti.
In primo luogo, si dovrebbe parlare chiaro, anche a rischio di essere impopolari. Ad esempio, asserire senza tanti giri di parole che il debito pubblico uccide l’economia di mercato e disabitua a lavorare.
In secondo luogo, chiarire il fatto che la riduzione dei tributi, che sarebbe benefica per il rilancio economico, implica una diminuzione ed una eventuale privatizzazione dei servizi sociali. Meno tasse, meno servizi, più senso di responsabilità individuale.
La libertà è responsabilità. E perciò per molti è un peso. Di qui l’ambigua forza dei macroniani come pure dei populisti, che pur su basi intellettuali diverse, favoriscono insieme il paternalismo statale e la deresponsabilizzazione dell’individuo, confuso o meno.
Un programma minimo del genere, squisitamente liberale, sarebbe però impopolare. Rischia di far perdere voti.
Pertanto la confusione, semplificando, della “botte piena e moglie ubriaca, crescerà fino a quando la sinistra illuminata e pedagogica perderà il potere. Sicché verrà il momento dell’elettore e del partito confusionario. Il mio povero nonno, se fosse vivo, parlerebbe di arruffapopoli: i demagoghi di Platone e Aristotele, per metterla sul dotto.
Si consideri anche il quadro politico internazionale. La guerra, giustificata o meno, non aiuta. Altra emergenza, altro giro di restrizioni politiche, sociali ed economiche che interagiscono con il ciclo statalista e demagogico già in atto.
Un’ ultima cosa, in Francia si stigmatizzano coloro che non sono andati a votare. Perché meravigliarsi?
A parte che il non voto è un diritto di libertà. Si dimentica, partendo dall’ insegnamento di un protoeconomista, che anche nelle fasi di inflazione mentale, quindi di confusione, la moneta cattiva scaccia la buona, che viene così tesaurizzata in attesa di tempi migliori. Quindi il non voto è una forma di tesaurizzazione intellettuale e politica. Si sostiene invece – la sinistra pedagogica – che il non voto sia un segno di disprezzo verso la politica e la democrazia. In parte potrebbe anche essere così.
Però, in realtà, l’essenza del liberalismo, che se sano è radicalmente antidemocratico, consiste proprio nel prendere le distanze dalla politica, soprattutto quando viene identificata con l’attivismo delle istituzioni pubbliche e la moltiplicazione dei tributi, come pure di una soffocante e costosa assistenza sociale.
Diciamo che il non votante vuole giustamente tenersi alla larga dalla pedagogia pubblica: quella cosa che oggi si chiama politicamente corretto.
Insomma chi non vota è un liberale senza saperlo. Però come spiegare questa cosa a coloro che invece di votare preferiscono restare a casa?
Carlo Gambescia
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